Audio integrale
Il mondo del lavoro si presenta sempre più flessibile e precario e lo sfruttamento diventa sempre più normale. Si può in questo miscuglio di fattori, di condizionamenti e di casualità ancora intravedere o presupporre, in qualche modo, una vocazione divina? Vi è un’espressione della relazione che Dio offre a ogni persona in modo personale, peculiare, già adesso anche nelle nostre azioni e nel lavoro retribuito e non? Oppure va congedata – come dicono in parecchi – la pretesa di una “vocazione” o di un “disegno” che nasce dal rapporto che Dio ha instaurato e continua a instaurare con ogni sua creatura umana, sostenendo invece che occorre che tutti si diano da fare per vivere e lavorare alla meno peggio, nell’attesa che ci sia, forse, un mondo più clemente e meno carrierista e sfruttatore nell’aldilà?Secondo me, la parola “vocazione” ha a che fare sempre e prima di tutto con la singola persona, con la sua identità in divenire, con condizioni e condizionamenti che tale persona dovrà affrontare o combattere. Spero pertanto che come cristiani e cristiane non rinunceremo alla fiducia nella vocazione che Dio rivolge a tutte e tutti. Confido invece molto nella grazia di Dio che ci vuole aiutare affinché comprendiamo, insieme a persone di tutte le ispirazioni, che la vita non si esaurisce nel lavoro retribuito, che la convivenza umana può già adesso riflettere i segni del regno di Dio, e che ogni individuo vi può dare un contributo peculiare e benedetto. Dio ci ha creati e create per amare e per lavorare, vivendo sulla terra che è sì in balia al male ma che comunque è “del Signore” (cfr. Salmo 24,1 ss.).
(da U. Eckert, Lavoro-vita-vocazione: alcune pro-vocazioni luterane, in J. Steigerwald e A. Visentin, a cura di, “Voglio di più!”. Limiti alla crescita di lavoro e consumo, Torino, Claudiana, 2007, pp. 107-108)*
Riferimenti Bibliografici
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