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Nel 2013, se nel mondo e in Europa le migrazioni crescono, in Italia il fenomeno continua, ma non cresce. La crescita interna dei migranti – per i ricongiungimenti familiari, le nuove nascite – viene pressoché annullata dai rientri, dalle partenze per altre destinazioni europee e del mondo di numerose persone e famiglie migranti. Circa 5 milioni resta il numero di persone, comunitarie e non comunitarie che sono presenti in Italia, alla luce dei dati Istat e di una presenza irregolare che permane, anche a causa di decreti flussi che non interpretano le esigenze del mondo occupazionale italiano e non aiutano l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. La disoccupazione maggiore dei lavoratori immigrati rispetto ai lavoratori italiani è dettata da una precarietà lavorativa e da una debolezza di tutele che chiedono nuovi strumenti sociali, più che il semplice blocco dei flussi. Il 2013 ha visto la crisi far emergere il rischio – Lampedusa e Prato sono solo due esempi estremi e drammatici – di indebolire la tutela dei fondamentali diritti umani: il Mediterraneo si è trasformato ancora di più in un luogo di morte per tante persone in fuga; l’Europa ha rischiato di dimenticare i suoi confini, da presidiare non solo sul piano della sicurezza, ma anche della tutela dei diritti umani; i diritti dei lavoratori sono stati rinnegati in alcuni luoghi di lavoro – dalle imprese di Prato alle campagne della pianura padana o della piana del Sele, della Capitanata, di Rosarno o della Lucania – senza dimenticare il lavoro domestico. Il trattenimento nei Centri di Identificazione e di Espulsione (CIE) non soddisfa l’interesse al controllo delle frontiere e alla regolazione dei flussi migratori, ma sembra piuttosto assolvere alla funzione di “sedativo” delle ansie di chi percepisce la presenza dello straniero irregolarmente soggiornante, o dello straniero in quanto tale, come un pericolo per la sicurezza. Le norme che regolano il trattenimento nei CIE appaiono illegittime, in quanto non rispettano le garanzie dei diritti costituzionali e non superano i test di ragionevolezza soprattutto quando riguarda persone che hanno già scontato la pena detentiva in carcere e, per un difetto dell’Amministrazione, si trovano a dover prolungare nei CIE la loro esperienza detentiva. Troppe sono ancora le vittime di tratta per sfruttamento sessuale o lavorativo che chiedono un riconoscimento e una protezione sociale, fortemente indebolita in questi ultimi anni da una politica che sembra trattare con scarsa attenzione, se non proprio dimenticare, i percorsi e gli strumenti per le pari opportunità. Lo stesso Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium così si esprime a tal proposito: «Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta». Il riconoscimento delle discriminazioni in continua crescita in Italia è debole, perché lasciato solo ai “luoghi istituzionali” incapaci di presidiare con strumenti nuovi i “luoghi di vita” – come la scuola, il mondo del lavoro, i servizi, ecc. – e di costruire un’alleanza con il mondo delle associazioni e del volontariato. La fede diversa di tante persone non è ancora diventata il luogo per un nuovo, quotidiano cammino di fede, di dialogo ecumenico e religioso nelle nostre comunità. La crisi non ha solo impoverito economicamente la società italiana, ma rischia di indebolire anche la sua democrazia. L’immigrazione, spesso identificata come luogo di povertà, dì insicurezza, di conflittualità sociale, oltre che essere luogo di discernimento della qualità dei principi democratici, può diventare risorsa per la crescita dell’Italia: per il milione di ragazzi immigrati che nascono e crescono; per i giovani che arrivano nelle nostre città; per le storie familiari; per le culture, le esperienze di fede che invitano al dialogo e all’incontro; per una nuova prossimità vicina e lontana che aiuta a riconoscere ogni persona nella sua dignità, interezza e unicità. In conclusione – riprendendo le parole di Papa Francesco per il Messaggio della 100° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014 – «se da una parte le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità e della centralità di ogni essere umano».
(da G. Perego e F. Soddu, Immigrazione. Tra crisi e diritti umani, in Caritas e Migrantes, XXIII Rapporto Immigrazione 2013, Todi, Tau Editrice, 2014, pp. IX-XIII)
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