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Questo, peraltro, è solo l’esito provvisorio di un processo che si è dipanato nei secoli, che avrebbe potuto svolgersi diversamente, e i cui passaggi sono comunque tutt’altro che univoci. Quello che, con il senno di poi, appare un dialogo fra culture giuridiche e costituzionali nazionali si è svolto inizialmente e in buona parte continua tuttora a svolgersi in termini polemici. La circolazione dei diritti oltre il limite dei confini statali, e della stessa grande divisione fra common law e civil law, infatti, è avvenuta in un’epoca – l’età della codificazione prima, della legislazione poi – che per più versi non vi si prestava. È l’epoca degli Stati nazionali, del nazionalismo e del positivismo giuridico: apparentemente l’ambiente meno favorevole – se si presta fede a Carl Schmitt – alla diffusione di un lessico e di una cultura giuridica e costituzionale comune.
Di fatto, le discussioni sui diritti in oggetto sono segnate da incomprensioni radicali: come se, passando dall’Inghilterra agli Stati Uniti, dagli Stati Uniti alla Francia, e poi dalla Francia alla Germania, il concetto di diritti ricevesse ridefinizioni così secche da renderlo irriconoscibile; basti pensare alle critiche di autori britannici tanto diversi fra loro come Edmund Burke, Jeremy Bentham e Albert Dicey. In questo processo di trasmissione di concetti e istituti, d’altra parte, la formazione di culture e di sistemi giuridici nazionali non gioca necessariamente solo un ruolo di ostacolo. Dopotutto, anche lo Stato nazionale può vedersi – con l’occhio cosmopolita del giurista europeo – come tappa intermedia rispetto a ulteriori riaggregazioni sovranazionali; le stesse polemiche sui diritti possono forse anche leggersi in positivo.
In un processo di globalizzazione che parte da lontano, e che passa prima per la costruzione di nazioni, poi di imperi coloniali in seguito smantellati, infine per nuove aggregazioni sovranazionali, pure le polemiche sui diritti servono al confronto e alla comunicazione fra culture giuridiche particolari ma virtualmente universali.
(da M. Barberis, Europa del diritto, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 155-156)*
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