Esistono suggestive coincidenze tra il comportamento di alcune sante e mistiche del passato e quello delle moderne adolescenti anoressiche: il digiuno e il dimagrimento estremo, la propensione all’ascetismo e al sacrificio, la ricerca della privazione, la negazione e la frustrazione dei bisogni del corpo, il controllo degli istinti, le distorsioni percettive indotte dal digiuno, l’inclinazione verso atti di autopunizione corporea, una qualche forma di isolamento sociale, l’aspirazione all’immortalità, il rapporto con un’immagine ideale, la vicinanza e la contiguità con al morte.
Tuttavia si tratta di fenomeni che appartengono a contesti storici e culturali diversi e tra loro anche molto lontani; pur accomunati dal fatto di poter essere ricondotti ad una sorta di mistica del corpo, questi fenomeni sono descritti in modo diverso da linguaggi eterogenei difficilmente traducibili e confrontabili tra loro come quello storico, quello religioso e quello medico.
Ciascun linguaggio fornisce un’immagine specifica, e parziale, del proprio oggetto: l’applicazione del linguaggio scientifico della medicina moderna, la semplice attribuzione della diagnosi di anoressia ai comportamenti caratteristici dell’ascetismo religioso non è solo una grossolana semplificazione, ma un fondamentale errore metodologico. Non è infatti possibile trattare queste tematiche astraendo dal contesto storico di riferimento, dal diverso significato attribuito in epoche diverse non solo all’alimentazione e al suo rifiuto, ma anche al rapporto con la corporeità, con il trascendente e con la morte.
Nel corso della storia, prima che la medicina si impossessasse del digiuno con la diagnosi di anoressia, si possono rintracciare le articolate vicende della rappresentazione sociale e culturale di coloro che si astengono dal cibo; tale rappresentazione è determinata dal diverso spirito del tempo che ha attribuito a chi digiuna ruoli legati al mondo della spiritualità o della divinazione, dell’eccezionale o del diabolico, prima che del patologico.
Nel mondo del sacro l’astinenza dal cibo è stata intesa sia come pratica purificatrice che libera dai condizionamenti del corpo e avvicina a Dio, sia come sospettoso segno di onnipotenza e quindi di un intervento di forze demoniache. L’atteggiamento che l’anoressica mette in atto nei confronti del cibo e nei confronti del corpo rimanda agli antichi percorsi dell’ascesi e dell’astinenza e, contemporaneamente, a quei comportamenti inquietanti e inspiegabili che sono stati intesi come segno patognomonico della presenza del demonio e hanno contribuito a costruire una sorta di semeiotica della possessione diabolica, singolarmente parallela ad una semeiotica della santità. Con il passaggio del digiuno all’interno del dominio della medicina si assiste alla trasformazione delle innumerevoli ed eterogenee storie di astinenza dal cibo nei “casi clinici” registrati dalle cartelle mediche.
Il confronto e l’itercomunibilità tra saperi sono resi necessari dalla complessità del fenomeno dell’alimentazione che, pur essendo regolato dalle leggi biologiche della vita corporea e degli istinti, si sviluppa nella dimensione della cultura, contraendo un ampio rapporto con il simbolico. E’ così possibile stabilire una contiguità, se non una continuità, tra oggetti di saperi diversi. Non si tratta più, in questo caso, di applicare una diagnosi medica ai comportamenti eccezionali del passato, ma di analizzare le possibili connessioni tra i significati del digiuno religioso (o di quello “profano”) e la “scelta” di digiunare dell’anoressica, analizzando contemporaneamente i diversi linguaggi in cui questi significati si iscrivono.
Nell’anoressia, come nel digiuno ascetico, un interrogativo fondamentale riguarda il rapporto profondo tra acquisizione e rinuncia, tra la ricerca della perfezione e il rifiuto (o il controllo assoluto) di ogni bisogno biologico elementare. Attraverso questa chiave interpretativa si può forse comprendere meglio la complessa problematica di un disturbo del comportamento adolescenziale che sembra essere sempre più diffuso.
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