Multiculturalismo è una delle parole-chiave del lessico politico contemporaneo e al contempo un termine che è entrato nel senso comune attraverso la pubblicistica dei giornali e, in generale, dei media. Esso non solo non è un designatore rigido, poiché non possiede un significato univocamente accettato, ma, rinviando a universi simbolici dissimili e talora opposti, si riferisce, a seconda di chi lo utilizza, a concezioni filosofiche differenti. Spesso il termine viene impiegato in un’accezione banalmente ideologica o strumentalmente politica e perfino in senso apotropaico come se si trattasse di una minaccia da scongiurare. Inoltre, dal momento in cui le società occidentali sono sempre più divenute negli ultimi decenni delle società multietniche e multiculturali – una tendenza che si è accentuata con l’intensificarsi dei processi di globalizzazione economica, sociale e culturale e dei conseguenti movimenti migratori dalle periferie del Sud del mondo alle metropoli dell’America e dell’Europa – si è sviluppato un vasto dibattito sulle politiche adottate o da adottare nei confronti dei nuovi venuti, delle minoranze e delle comunità culturali insediatesi all’interno degli Stati esistenti. Ripercorrere questo dibattito nelle sue grandi linee è utile per cominciare a costruire una mappa del multiculturalismo, una cartografia delle diverse posizioni filosofiche in campo, una tassonomia sia pure approssimativa degli approcci epistemologici diversi e spesso in conflitto (…).
L’innesto tra locale e globale, su cui oggi sociologi e antropologi tanto riflettono, indica che tutte le società contemporanee si trovano, seppure in forme diversificate e ognuna con ritmi suoi propri, in una situazione di multiculturalità, aperta cioè a un complesso di trasformazioni che comprendono, ad esempio, la capacità di resistenza di una cultura autonoma, l’imposizione sofferta da una cultura assoggettata, la capacità di appropriarsi di elementi culturali estranei, la deprivazione/alienazione a cui sono esposti i gruppi etnici minoritari ai quali viene negato il riconoscimento della loro diversità (…).
Il multiculturalismo non è, come molti ritengono, la forma fenomenica nuova della vecchia questione della tolleranza, la quale, come è noto, nasce contestualmente all’affermarsi dello Stato moderno incaricato di garantire il pluralismo delle fedi religiose e l’autonomia della sfera politica nei confronti di quella teologica. Il multiculturalismo inteso in senso descrittivo, cioè come la presa d’atto che le società occidentali sono irreversibilmente divenute delle società multietniche e multiculturali, è, invece, un altro nome per indicare la questione del riconoscimento così come emerge nell’attuale momento storico, in cui negli Stati Uniti si è incrinato il modello assimilazionista e neutralista del melting pot come schema dominante dell’integrazione sociale con i rispettivi valori socio-culturali di riferimento (il cosiddetto Wasp: bianco/anglosassone/maschio/protestante) e in Europa, specialmente dopo il collasso dell’URSS e dei regimi comunisti dell’Est, sono aumentati i flussi migratori e va mutando sempre più vistosamente la composizione demografica degli Stati nazionali.
(da F. Fistetti, Multiculturalismo. Una mappa tra filosofia e scienze sociali, Torino, Utet, 2008, pp. VII-IX)*
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