E’ noto che, secondo Renan, la nazione, e con essa il sentimento di identità e di unità nazionale, si regge su due fattori fondamentali: la consapevolezza di un passato comune e la perdurante volontà di perseguire un futuro comune. Passato e futuro sono dunque parimenti necessari, ma mi convince quanto ha scritto la storica, anch’essa francese, Anne-Marie Thiesse (in La creazione delle identità nazionali in Europa, il Mulino) e cioè che le nostre nazioni non nacquero nel lontano Medioevo, nel quale ne andiamo a cercare i precedenti. Esse nacquero quando un pugno di uomini e di donne decisero che la loro nazione si dovesse costruire, andarono a cercare nella storia ciò che serviva a legittimarla e si misero a lavorare attorno al progetto del futuro comune. Non è perciò il passato a decidere che siamo una nazione. Il passato è ciò che noi vogliamo ricavarne a seconda del futuro che scegliamo. È un passato che testimonia le nostre divisioni quando è la divisione ciò a cui realmente puntiamo. È un passato di tradizioni e di esperienze comuni quando è l’unità ciò che vogliamo costruire. Nasce di qui la mia definizione dell’Italia come nazione antica e allo stesso tempo incompiuta. A differenza di altre, per le quali gesta e tradizioni passate furono letteralmente inventate per dare loro un fondamento storico, l’Italia è stata un’entità culturalmente riconoscibile molto prima di formarsi come entità istituzionale e politica. (…) Noi stessi ancora discutiamo se all’Italia sono mancati gli italiani o se, inversamente, è mancata l’Italia agli italiani, perché troppo raramente siamo stati capaci di dotarci di quel futuro comune che, quando c’è e si realizza, contrasta le ragioni di incompiutezza. Il paradosso del nostro tempo è che, mentre troppe volte in passato ci siamo contrapposti in nome di futuri diversi, oggi sembra che il futuro sia scomparso e che le nostre divisioni attuali siano tutte chiuse nella gora del presente. Non a caso – noterebbe la Thiesse – affiora dal passato non ciò che ci potrebbe unire, ma ciò che serve a dividerci, si tratti a Sud della nostalgia dei Borbone, a Nord di improbabili origini celtiche cercate nelle acque del Po. L’Italia di oggi ha un disperante, inappagato bisogno di futuro. Ne troverebbe tutte le ragioni sia in sé sia in quell’Europa che tanto ha concorso a far vivere come entità unica al mondo.
(da G. Amato, L’Italia è fatta, la nazione non ancora, in «la Stampa», 18 febbraio 2011)
Presiede: Luciano Vandelli