Il tema della corporeità attraversa l'intera storia della cultura dell'uomo, ma torna oggi a riproporsi con particolare urgenza sia sotto il profilo delle scienze biologiche, sia sotto quello della mutazione dei costumi, in particolare nei dibattiti sull'identità dell'umano e della persona. In questo contesto, Virgilio Melchiorre ha evidenziato l'importanza di ripercorrere le tappe che nella nostra tradizione di pensiero hanno portato alla definizione della corporeità, a partire dal dualismo corpo-spirito, nato dall'incontro della cultura cristiana con il mondo greco, dove la divaricazione era particolarmente profonda, come mostrato dalla filosofia platonica.
Il pensiero moderno, se da un lato non si è liberato subito da questo dualismo, ripresentato nella distinzione della res cogitans, la realtà pensante, profondamente altra dalla res extensa, cioè dal corpo come realtà misurabile ed estesa, dall'altro si pone però ben presto anche il problema di riscoprire il significato della corporeità in relazione alla coscienza. Con Rosmini si comincia, infatti, a parlare di quella capacità propria dell'uomo di percepirsi come coscienza concreta, come coscienza che non è senza un corpo. Bisogna però arrivare ai nostri giorni, con la fenomenologia, e in particolare con filosofi quali Marcel, Husserl, Merleau-Ponty, per portare a fondo questa lettura della corporeità, parlando d'una coscienza corporea o d'una corporeità coscienziale, secondo la quale se si sopprime l'uno o l'altro termine di corpo-spirito, inevitabilmente si elimina anche l'uomo. Nella prospettiva fenomenologia si parla di "persona", che nel senso originario del termine indicava la "maschera" indossata dall'attore, come visione prospettica, cioè come capacità di guardare al mondo a partire da un punto, costruendo un senso unico e irripetibile della realtà.
Se vale questa unità profonda dell'uomo come coscienzialità corporea e dunque come persona, si dovrebbe anche riconoscere che il maschile e il femminile rappresentano due tonalità fisiche, due modi d'essere che, sullo sfondo di un'identità essenziale, sono chiamati ad integrarsi secondo un rapporto dialettico. Questa reciprocità, che si ritrova rappresentata nell'idealtipo platonico dell'androgino o nella figura dei quattro viventi dell'Apocalisse, mostra un carattere fondamentale della corporeità: l'essere cioè il corpo una potenza che simbolicamente dice di sé e ad un tempo, dicendo di sé dice d'altro, d'una ulteriorità, d'un tutto che l'attraversa e insieme la trascende.