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I morti scalfiscono la monumentalità della guerra, la rendono più accessibile, la assottigliano, la frantumano lungo tante linee di faglia; rifiutandosi di essere tutti uguali, consentono di ripristinare la cronologia come categoria interpretativa, di percepire la continuità e le rotture lungo la linea del tempo. Di qui, il tentativo di conoscere storicamente la guerra (e anche i grandi fenomeni novecenteschi di violenza di massa come la Shoah), partendo dalla sua conclusione, da quei morti che rappresentano il suo unico, concreto prodotto finale. È come guardare l’erba dalla parte delle radici; cambia la prospettiva metodologica, ma cambiano anche le priorità contenutistiche e concettuali. Per quanto edificanti o efferate siano, le pratiche messe in atto nei confronti di quei corpi sono abbastanza limitate: il corpo «amico» viene rispettato sempre, onorato spesso; può essere usato per gridare vendetta o implorare la pace, per incitare all’odio contro l’altro o per rinsaldare le proprie file. Il corpo «nemico» è talvolta rispettato, quasi sempre profanato; nel primo caso viene sepolto in una tomba individuale, in un cimitero, nel secondo può essere esibito in pubblico, o cancellato in una fossa comune, può essere smembrato, violato, distrutto. Tutte queste pratiche appartengono sempre a entrambi gli schieramenti che si fronteggiano; eppure esse assumono significati radicalmente diversi a seconda dei contesti in cui vengono messe in atto. Il gesto di tagliare una testa resta sempre lo stesso; ma la sua valenza simbolica e interpretativa cambia ogni volta, così come il significato della guerra in cui si inserisce. […]
Fotografati o ripresi dalle telecamere, i corpi dei nemici uccisi sono comunque «rappresentati»; da quelle immagini lo storico può scoprire le intenzioni di chi li ha messi in posa, sceneggiati, ritratti. Nel corso del Novecento, quasi sempre, sono le fotografie a documentarli e, quasi sempre, sono gli uccisori ad averli fotografati. Da quando le tecniche fotografiche si semplificarono e diventarono alla portata di tutti, accanto alle foto ufficiali sono state proprio queste immagini private a restituirci i particolari più macabri della distruzione dei corpi nemici. Una mostra organizzata dal fotografo James Allen e dallo storico Leon Litwack, ad esempio, ha recentemente raccolto un numero considerevole di immagini di linciaggi ai danni di neri avvenuti negli Stati Uniti tra il 1890 e il 1940. I gruppi di linciatori sono ritratti in pose svariate attorno ai corpi prima vivi e poi smembrati e bruciati delle loro vittime. Ci sono anche bambini sorridenti come se avessero partecipato a una festa nella quale un essere umano è stato torturato, impiccato e infine ridotto a brandelli di carne, talvolta distribuiti come souvenir; molte di queste immagini divennero cartoline postali che i linciatori spedivano a parenti e amici come prova della loro partecipazione all’evento: una di queste mostra sul lato frontale il cadavere bruciato e appeso a un palo di un uomo linciato il 16 maggio 1916 a Robinson (Texas); sul retro si legge testualmente: «Questo è il barbecue che abbiamo fatto ieri sera. Io sono quello a sinistra, contrassegnato con una crocetta. Vostro figlio Joe». In guerra, molte foto di questo tipo furono conservate, tenute in tasca, nel portafoglio, correndo il rischio nel caso di cattura, di offrire un’inconfondibile prova della propria responsabilità nelle violenze documentate dalle immagini. La pratica propiziatoria di portare su di sé un pezzo del corpo del nemico ucciso è stata così riassorbita in una sua riedizione, tecnologicamente aggiornata, che ne ha cambiato però la natura. In Vietnam, «c’erano migliaia di questi album, e si sarebbe detto che contenevano tutti le stesse immagini; la foto di una testa tagliata, la testa spesso appoggiata sul petto del morto o esposta da un Marine sorridente, o una serie di teste allineate con una sigaretta accesa in ogni bocca, gli occhi aperti…».
(da G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Torino, Einaudi, 2006, pp. 42, 69)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.