[…] La differenza maggiore tra le due confessioni circa la dottrina del matrimonio riguarda la sua natura sacramentale o meno.
Secondo la Chiesa cattolica il matrimonio è uno dei "sette sacramenti della Nuova Legge, istituiti da nostro Signore Gesù Cristo" (Concilio di Trento, Sessione VI, Decreto sui sacramenti, can. 1), per cui esso non appartiene solo all’ordine naturale della creazione, ma anche a quello della redenzione. Il matrimonio fra due battezzati è una realtà soprannaturale in quanto segno e strumento dell’amore redentivo di Cristo e, come tale, fonda la famiglia cristiana, cellula primaria della comunità ecclesiale. Secondo la dottrina cattolica il fondamento della sacramentalità del matrimonio è il battesimo. Perciò ogni matrimonio fra due battezzati è considerato sacramento. A motivo di questa sacramentalità la Chiesa cattolica riconosce di avere la competenza per regolare, con una propria disciplina, il matrimonio di quanti le appartengono. La normativa sui matrimoni misti ne è un aspetto.
Secondo la Chiesa valdese il matrimonio è una realtà della buona creazione di Dio, diventata una istituzione fondamentale della società umana, che i credenti ricevono e vivono come un "dono" (I Corinzi 7,7): "Nel matrimonio i coniugi credenti attuano come coppia la loro vocazione cristiana", vivendola "quale espressione particolare dell’amore del prossimo e dell’alleanza di grazia che lega i credenti al loro Signore" (Sinodo valdese, Documento sul matrimonio, n. 8). Il matrimonio non è considerato dalla Chiesa valdese un sacramento. L’esatta valutazione della differenza dottrinale tra le due confessioni religiose dipende dalla diversa comprensione dei sacramenti e della chiesa, nonché del loro ruolo nella vita della fede e dalla diversità dei linguaggi che ne è derivata.
[…] Una seconda divergenza dottrinale e disciplinare riguarda l’indissolubilità del patto coniugale. Concordemente si riconosce che il matrimonio è un patto senza scadenze, anche se diversi sono i modi di esprimerlo e diverse sono le conseguenze che se ne traggono da parte cattolica e da parte evangelica. Secondo la Chiesa cattolica il patto d’amore coniugale, configurato da Dio nella creazione ed elevato nella fede a significare ed attuare il mistero dell’amore di Cristo, esige come conseguenza l’indissolubilità, la quale comporta tra i contraenti il vincolo dell’amore reciproco nel dono perpetuo della vita. Non è quindi ammesso il diritto al divorzio, né sono possibili le seconde nozze conseguenti ad esso.
Anche la Chiesa valdese afferma che la vocazione rivolta alla coppia è di "essere uniti in una comunione di vita duratura", per cui "di fronte al modo cristiano di vivere il matrimonio l’eventualità del divorzio non si pone" (Sinodo valdese, Documento sul matrimonio, n. 57). D’altra parte si riconosce l’esistenza di crisi coniugali che possono sfociare in situazioni di rottura insanabile, in cui non è più possibile chiedere ai credenti "in nome dell’Evangelo, la rinuncia al divorzio" (n. 59). In tal caso la possibilità di nuove nozze in chiesa da parte dei divorziati non è esclusa, ma è convenientemente disciplinata (n. 60), anche se "in linea di principio la Chiesa valdese non è favorevole" a consentirvi. D’altra parte, la Chiesa valdese non riconosce provvedimenti di organi ecclesiastici cattolici, che dichiarino la nullità di matrimoni o concedano lo scioglimento a norma del diritto canonico. Tuttavia potranno essere celebrate nuove nozze di coloro che abbiano usufruito di tali provvedimenti – con le stesse modalità previste per i divorziati -, qualora lo stato libero degli interessati sia certificato da organi dello Stato.
[…] In questo ambito le divergenze sono sostanzialmente due. La prima riguarda la procreazione. Secondo la dottrina condivisa dalla Chiesa valdese e da quella cattolica, l’apertura alla vita è iscritta nella trama stessa dell’amore coniugale. Tuttavia, a differenza di quella valdese, la Chiesa cattolica ritiene che l’esclusione della prole con atto positivo di volontà di uno o di ambedue i coniugi al momento della celebrazione renda nullo il matrimonio.
La divergenza, considerata a livello puramente dottrinale, non mette in questione da parte cattolica la validità dei matrimoni misti tra evangelici e cattolici, se la coppia si costituisce per realizzare il suo proposito d’amore (che secondo il disegno divino – Genesi 1,28 – è aperto alla procreazione e ad essa ordinato con una generosa disponibilità alla vita) e se non esclude, con atto positivo di volontà, la prole. Se quest’ultima condizione non fosse osservata, il vincolo sarebbe considerato nullo da parte cattolica. La seconda divergenza riguarda la regolazione delle nascite. Entrambe le chiese condividono il principio secondo cui la regolazione delle nascite rientra nel campo della responsabilità umana e cristiana degli sposi. Vi è però diversità di giudizio circa la liceità morale di alcuni metodi di regolazione delle nascite. Questa questione non riguarda la natura del matrimonio né la sue proprietà essenziali e, come tale, non incide sulla validità del matrimonio misto. Essa tuttavia va presa in seria considerazione, perché riguarda un aspetto importante della vita matrimoniale […]
(da: Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti in Italia, Roma, 16 giugno 1997)
Riferimenti Bibliografici
- Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna, 2003;
- G. Rossi (a cura di), La famiglia in Europa, Carocci, Roma, 2003;*
- E. Genre, Nuovi itinerari di teologia pratica, Claudiana, Torino, 1991.*
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