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Si intendono qui proporre alcune riflessioni sul concetto di “incompletezza”, considerato come nozione chiave per diverse problematiche antropologiche. La prospettiva nella quale la nozione d’incompletezza viene ad assumere un rilievo del tutto particolare è quella che da alcuni anni si è convenuto chiamare “antropopoiesi”. Se si adotta un’impostazione che in modo programmatico pone a fuoco le modalità di “costruzione” degli esseri umani, è inevitabile che vengano evocati da un lato le carenze, ovvero le incompiutezze di base, che in quanto tali motivano la necessità di costruzioni antropopoietiche e, dall’altro, i loro eventuali effetti di completamento. C’è un nesso evidente tra incompletezza di base ed esigenza di costruzione, che dovrebbe provi rimedio; così come vi è pure un nesso tra modalità di costruzione ed esiti di completamento, anche se, beninteso, rimane del tutto aperto il problema del raggiungimento dell’obiettivo della completezza. L’antropopoiesi è – come si è detto – una prospettiva teorica; a essa si oppongono quindi impostazioni le quali rifiutano o considerano irrilevante l’idea di costruzioni che completino in qualche modo gli esseri umani. È quasi d’obbligo che una prospettiva anti-antropopoietica faccia leva in maniera dichiarata o meno su un qualche principio di completezza; ed è pressoché inevitabile che tale principio venga fatto coincidere con l’idea di natura umana: solo una natura umana di per sé integra e completa non ha bisogno di alcun intervento antropopoietico. In via preliminare, il nesso tra antropopoiesi e in/completezza può dunque essere formulato e articolato nei seguenti modi: a) viene postulata un’incompletezza di fondo che sollecita operazioni di tipo antropopoietico; b) le operazioni antropopoietiche dovrebbero porsi obiettivi di completamento, e ciò – potremmo aggiungere – a prescindere dai risultati effetti-vamente conseguiti; c) una supposta completezza di fondo renderebbe invece del tutto superflua , velleitaria e illusoria qualsiasi intrapresa antropopoietica. Possiamo immaginare dunque una sequenza di questo genere: incompletezza → antropopoiesi → completamento, e ritenere che essa sia quella più normalmente adottata da una prospettiva antropopoietica. Ma l’antropopoiesi lavora sempre nel senso del com-pletamento, cioè – a prescindere che ci riesca o meno – avendo di mira pur sempre un obiettivo di completezza?
(F. Remotti, Sull’incompletezza, in AA.VV., Figure dell’umano. Le rappresentazioni dell’antropologia, Roma, Meltemi, 2005, pp. 21-22)*.
Riferimenti Bibliografici
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