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Mura cittadine e mura monastiche concorrono a individuare, in una cartografia scenografica come quella rinascimentale e moderna, un’immagine della società che si identifica in comunità e corporazioni che occupano spazi definiti e protetti. Le mura assurgono a simboli di identità e di protezione ma, per quanto riguarda la sfera femminile, anche di proibizione e controllo. La condizione religiosa femminile caratterizzata dalla professione monastica secondo il rito solenne della chiesa viene connotata fin dal 1298, per disposizione del papa Bonifacio VIII, dall’obbligo della clausura. In un contesto dove era frequente la reclusione volontaria e la stessa Chiara d’Assisi aveva introdotto per sé e le compagne il «voto» di osservanza della clausura, il provvedimento papale che estendeva a tutte le monache professe la disposizione di vivere in condizione di separatezza dal mondo, dalle attività e conversazioni secolari poteva forse apparire dettato da motivi di identità religiosa non meno che da controllo disciplinare. Non ci sono dubbi invece sull’esclusivo carattere di controllo culturale e sociale assunto dalla disposizione tridentina della clausura che si colloca per altro in quella prima età moderna che vede un deciso inasprimento della condizione femminile e una significativa perdita di diritti delle donne tanto nella sfera pubblica che in quella privata. (…) I recinti monastici, che identificano lo status vitae della vergine consacrata, costituiscono anche luoghi controllati e protetti per la conservazione della verginità femminile e per l’educazione delle fanciulle dei ceti mercantili e aristocratici. Tra medioevo ed età moderna muraglie e grate ai parlatori simbolizzano la più decisa segregazione delle religiose, ma individuano anche i luoghi di una nuova creatività culturale. (…) Il desiderio femminile di poter continuare un impegno professionale e attivo nella società, corrispondente ai diversi modi di espressione in cui si era realizzato nell’Europa tardo-medioevale – dall’esercizio di attività lavorative da parte di vedove, alla pratica di assistenza e servizi vivendo in beghinaggi o affiliandosi ai terzi ordini religiosi – non è incrinato né tanto meno infranto dall’inasprimento delle condizioni giuridiche e dall’erezione di più robusti recinti istituzionali nel periodo rinascimentale e della prima età moderna.
(da Gabriella Zarri, Recinti. Donne, clausura e matrimonio nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 24-27)*
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