Di solito gli storici si ingegnano a inventare e costruire nuovi oggetti ritagliando territori e cronologie. La Monarchia cattolica è invece una realtà di origine iberica che si impone da sola, nello spazio e nel tempo, senza che la si debba costituire di sana pianta. Essa ricopre uno spazio che riunisce diversi continenti, mette in rapporto o in urto forme di governo, di sfruttamento economico e di organizzazione sociale, confronta in maniera a volte molto brutale tradizioni religiose completamente opposte. In questo senso, la Monarchia non è “un’area culturale”. Piuttosto, ne riunisce diverse.
Essa è il teatro di interazioni planetarie tra il cristianesimo, l’islam e quel che gli iberici chiamavano gli “idolatri”, categoria entro la quale i culti dell’America e dell’Africa si trovano accanto alle grandi religioni asiatiche. È dentro di essa che cristianizzazione fa rima con occidentalizzazione.
Lo studio degli imperi iberici consente anche di riesaminare la questione delle origini della modernità europea. Che cosa ci può insegnare su questo argomento il mondo ispano-portoghese – e aggiungerei napoletano – che viene normalmente tenuto ai margini della via regia della modernità europea, la quale fila diritta dall’Italia verso la Francia per raggiungere l’Inghilterra e i paesi del Nord? Questo slittamento di prospettiva ha effetti paradossali poiché, lungi dal metterci di fronte un’Europa meridionale arcaica e fossile, rinvia ad uno spazio planetario nel quale si giocano fenomeni che, poco o tanto, hanno a che fare con ciò che oggi chiamiamo globalizzazione o mondializzazione.
Riferimenti Bibliografici
- C. Bernand e S. Gruzinski, Histoire du Nouveau Monde, 2 voll., Fayard, Paris, 1991-93*;
- F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, nuova edizione, Einaudi, Torino, 1976*;
- P. Chaunu, Conquête et exploitation des Nouveaux Mondes, Puf, Paris, 1969;
- S. Subrahmanyam, The Portoguese Empire in Asia, 1500-1770, Longman, London, 1993.
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