Alī ibn Abī Ṭālib

La successione a Maometto e la nascita dell’Islam sciita

  • Leonardo Capezzone

    Professore di Storia dei paesi islamici – Università di Roma «La Sapienza»

  • martedì 24 Marzo 2020 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

Alla morte del Profeta Muhammad, avvenuta nel 632, l’islam sperimenta immediatamente una divisione in scismi e frammentazioni, riflesso di tensioni sociali e di correnti politiche che emergono con vigore nel periodo in cui è in gioco la formazione e l’affermazione di un criterio di successione alla guida della comunità islamica. Di fronte al silenzio (negato dagli sciiti) da parte del Profeta riguardo alla designazione del suo successore come capo politico della comunità, prevale una modalità consuetudinaria di elezione, espressa da un consiglio di personaggi eminenti. Questa modalità costituiva il terreno comune su cui convergevano gli interessi e i conflitti soggiacenti all’unità dei clan e delle fazioni mantenuta dal Profeta.

I due maggiori schieramenti erano quelli dei muhajirun, di coloro cioè che avevano condiviso la hijra di Muhammad, allorché questi nel 622 aveva abbandonato l’ostile Mecca per trovare riparo a Yathrib (ribattezzata poi Medina). Costoro erano i più antichi musulmani, artefici della prima comunità islamica raccolta intorno alla rivelazione di Muhammad. Accanto a questi, vi erano gli ansar, o Ausiliari, sedentari di Yathrib che accolsero il Profeta e si convertirono. A queste due voci della più antica nobiltà religiosa dell’islam si affiancarono in seguito, attraverso la conversione, le altre tribù, sedentarie o nomadi, della penisola (fra cui cristiani ed ebrei). La conquista della Mecca nel 630, e la sua successiva conversione, scelta dall’aristocrazia un tempo nemica come ovvio dispositivo di integrazione in un progetto di entità politica in cui gli antichi privilegi della classe mercantile meccana potessero essere mantenuti e rinnovati, costituì un ulteriore afflusso di forze e di interessi, e mutò fortemente l’equilibrio delle scelte e delle direttive di una comunità che iniziava la sua espansione territoriale al di fuori dei confini della penisola. Non è forse un caso, dati gli interessi commerciali dell’aristocrazia meccana, rivolti soprattutto verso la Siria bizantina, che le prime conquiste arabe si siano orientate proprio in quella direzione; soprattutto, ancor meno casuale è il fatto che la provincia siriana, una volta conquistata, sia divenuta la roccaforte di un ramo importante della nobiltà meccana, ormai pienamente inserita nel nascente Stato islamico, i Banu Umayya (da cui emergerà la prima dinastia califfale ereditaria, quella degli Omayyadi), contro cui si sarebbero coagulate le forze favorevoli alla leadership di Alì. (…)

La famosa tradizione su cui poggia l’idea sciita di un’investitura ufficiale di Alì, pronunciata dal Profeta nel 632 di ritorno dal pellegrinaggio d’addio a Mecca presso lo stagno di Khumm, contiene queste parole: «Chiunque riconosce in me il suo patrono (mawla), sceglierà Alì per patrono». Come si vede, il Profeta sarebbe ricorso al termine mawla per definire – sebbene in maniera assai oscura – il ruolo di Alì nei confronti della comunità dei credenti.

«Patrono» è solo uno dei possibili significati del termine. Il concetto di mawla, infatti, è anche inerente alla pratica diffusa fin dall’età preislamica dell’affiliazione di un individuo a un clan, dunque a un’entità familiare di ampio raggio, tramite una relazione di clientela e di patronato. L’ambiguità del termine è tale, però, che anche colui che viene affiliato è un mawla. Secondo questa prassi di affiliazione, nel corso delle conquiste, molti non arabi convertiti entrano nel tessuto sociale dell’arabismo egemone. Il termine dunque può anche alludere a una modalità di conversione, di ingresso e di partecipazione alla comunità islamica tesa a enfatizzare, al di là dei confini dell’arabismo in cui l’islam era nato, il carattere universalistico del messaggio di Muhammad, e di conseguenza il peso sempre più decisivo dell’elemento non arabo, verso il quale Alì sembra aver sostenuto una politica di integrazione. (…)

Da un punto di vista storico, è innegabile che la rivendicazione dei sostenitori di Alì inserisse nelle dinamiche dell’accesso al potere una componente innovativa, dipendente da un complesso lessico di tipo genealogico in cui agivano significati spirituali altrettanto inediti. La portata innovativa insita nel dato politico di un diritto «familiare» di Alì alla successione rimarrà inalterata anche quando acquisirà un significato religioso e andrà a innervare il tema spirituale della famiglia del Profeta. In questo tema è centrale, con tutta la problematicità del ruolo femminile che essa comporta – poiché da lei dipende la linea genealogica degli imam –, la figura di Fatima, figlia prediletta del Profeta e sposa di Alì.

Le più antiche fonti sulla formazione e lo sviluppo dello sciismo di cui disponiamo sono due testi eresiografici scritti da autori sciiti del IX-X secolo: le Firaq al-shi’a (Le divisioni dello sciismo), opera scritta da al-Hasan ibn Musa al-Nawbakhti entro l’anno 899, e le Maqalat wa’l-firaq (Le dottrine e le divisioni), redatte da Sa’d ibn ‘Abdallah al-Qummi intorno al 905. Insieme allo pseudo al-Nashi’ al-Akbar, autore di una fonte analoga di poco precedente, gli Usul al-nihal (I fondamenti delle sette), i due eresiografi possono essere considerati i primi storici dello sciismo. Questi testi eresiografici ci mostrano una pluralità di tendenze della nebulosa filo-alide con i suoi conflitti e le sue frammentazioni, nel panorama dei dissensi politici e religiosi che emergono dopo la morte di Alì e dei suoi primi due figli, e continuano ininterrotti almeno fino all’VIII secolo. All’interno di tale nebulosa prevale una linea di successione dell’imamato stabilita esclusivamente attraverso l’unione di Fatima e Alì. Le dispute, interne al fronte sciita, intorno all’individuazione della persona su cui grava la missione dell’imamato, l’asse genealogico di appartenenza, e l’affermazione del ruolo di Fatima – carico dì valenze dottrinali per la definizione spirituale della figura dell’imam – dimostrano l’evoluzione e la soluzione terminale dì un’ideologia dei rapporti parentali che lo sciismo originario promuove, a partire da una riformulazione dei vincoli agnatizi preislamici rifacendosi alla nuova fisionomia della parentela che l’islam configura, ricorrendo a immagini di fratellanza e filiazione spirituale. (…)

Nella giovane comunità islamica, in cui l’appartenenza e l’identità collettiva erano stabilite dalla comune fede, la fratellanza spirituale aveva un riverbero del tutto nuovo e importante nella ridefinizione dell’asse ereditario, che nel sistema pre-islamico procedeva in linea orizzontale. Quando quella disposizione legale, nata per rafforzare i legami dell’allora piccola e minacciata comunità islamica, perse la sua funzionalità, si interpretarono i versetti coranici VIII, 75 e XXXIII, 6 come responsi abrogativi del precedente versetto che regolava l’anomala successione ereditaria (anomala non per il principio di fratellanza in sé, ma perché di fatto privilegiava legami di sangue artificiali). Tuttavia, alcuni antichi commenti coranici sciiti, redatti da autori dell’VIII secolo, e che sono pervenuti a noi in frammenti conservati in testi di autori sciiti più tardi, interpretavano quei versetti non come abroganti, ma piuttosto come una conferma al versetto precedente, aggiungendo che, in ogni caso, Alì partecipava della fratellanza col Profeta sia come eminente muhajir sia come parente di sangue, in quanto cugino: parentela di sangue e parentela spirituale erano entrambe poste in rilievo.

 

(da L. Capezzone e M. Salati, L’islam sciita. Storia di una minoranza, Roma, Edizioni Lavoro, 2006, pp. 31-44)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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