Due sono le principali tendenze dell’interpretazione heideggeriana di Agostino: una fenomenologia dell’io, intesa come il modo in cui la vita fattuale comprende se stessa, e con ciò si compie come esistenza o «esserci» (Dasein), e un’interpretazione di questo esserci come tempo, inteso – o meglio vissuto, e quindi compiuto – come l’apertura al mistero del senso dell’essere. È proprio questo «compimento» (Vollzug) il segno, ma anche l’apporto fondamentale della presenza di Agostino nel pensiero di Heidegger: ma non nel senso che in lui il filosofo tedesco arrivi a trovare risposta ai propri interrogativi, bensì, al contrario, nel senso che da lui attinge l’interrogazione come il modo d’essere fondamentale della vita, ma anche – con Agostino, contro Agostino – risolve la vita nell’impossibilità di dare risposta a quell’interrogazione, e quindi la compie in assoluta finitezza.
È questo il motivo per cui Heidegger – come leggiamo all’inizio del suo corso friburghese del semestre estivo 1921 (ma pubblicato per la prima volta, all’interno della «Gesamtausgabe», solo nel 1995) su Agostino e il neoplatonismo – prende le distanze dalle modalità di approccio fino ad allora invalse nella lettura di Agostino, e cioè sia da quella «storico-culturale» (il cui rappresentante-tipo sarebbe Ernst Troeltsch), sia da quella incentrata sulla «storia dei dogmi» (attuata in particolare da Adolf von Harnack), sia da quella orientata a una «scienza della storia» (qual è la prospettiva di Wilhelm Dilthey). In tutti e tre questi approcci, infatti, Agostino verrebbe inteso objektgeschichtlich, come un «oggetto» storico, o come un dato storiografico, precisamente ricostruibile nella sua genesi, nel suo contesto, nelle sue intenzioni e nelle sue influenze, e il cui fuoco problematico sarebbe costituito dal rapporto tra la grecità e il cristianesimo o, detto all’inverso, dal processo di «ellenizzazione» del cristianesimo.
Di contro a questa tendenza, Heidegger propone invece un approccio vollzugsgeschichtlich: Agostino attesterebbe un fenomeno più radicale rispetto a tutti gli altri fattori «storici» analizzati dagli approcci precedenti, e cioè che la storia non è soltanto il quadro cronologico o la condizione culturale in cui si contestualizza e da cui dipende la comprensione dell’io (e che questa comprensione contribuirebbe a sua volta a determinare), ma in maniera più originaria essa «è» l’esserci stesso: in quanto tale la storia, o meglio la «storicità» – e qui, in particolare, la storicità di Agostino – va interpretata come il «compimento» ontologico dell’esistenza, e da parte sua questo compimento esistenziale va compreso «storicamente» come rapporto problematico – irrisolto e in definitiva irrisolvibile – dell’io con se stesso (storicità come pura esistenza fattuale, dunque).
(da C. Esposito, Martin Heidegger. La memoria e il tempo, in L. Alici, R. Piccolomini, A. Pieretti, a cura di, Esistenza e libertà. Agostino nella filosofia del Novecento, vol. I, Roma, Città Nuova, 2000, pp. 87-88)*
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