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A livello sociale e politico il dialogo interreligioso come “fattore” di coesione sociale sembra rappresentare oggi la via maestra, la soluzione e il mezzo indispensabile per raggiungere un nuovo equilibrio. Lo stesso Consiglio dell’Unione Europea ha approvato nel 2003 un’importante Dichiarazione sul dialogo interreligioso e sulla coesione sociale che incoraggia a costruire un dialogo «aperto e trasparente con le diverse comunità religiose e filosofiche», con la profonda convinzione che esso «può oggi dare un contributo significativo allo sviluppo di una società libera, pacifica, ordinata e coesa», che esso «aiuta a superare l’estremismo filosofico e religioso, gli stereotipi e i pregiudizi, l’ignoranza e l’indifferenza, l’intolleranza e l’ostilità, che anche nel passato recente sono stati causa di tragici conflitti e di spargimento di sangue in Europa» e che «può aiutare le nuove generazioni di europei a evitare gli errori del passato». A mio parere il dialogo interreligioso e interculturale può essere visto come un mezzo per vivere in un modo proattivo nel contesto di pluralismo religioso e culturale, ma bisogna anche pensarlo come metavalore. Infatti lo spirito e la spiritualità del dialogo, che devono essere alimentati, richiedono una profonda “conversione” all’altro e un superamento di pregiudizi e di stereotipi. L’incontro con culture diverse però non avviene senza tensioni e conflitti. Adolfo Russo infatti sostiene che «lo “straniero” può incuriosirci o intenerirci, quando rimane nel suo mondo e quando noi ci sentiamo liberi di lasciarci coinvolgere. Al contrario, incute paura se entra nella dimensione ordinaria della nostra vita e se avvertiamo che non possiamo sottrarci alla sua presenza» e che in qualche modo possa rappresentare una minaccia alla nostra stessa identità. È attuale un risveglio d’identità religiose forti che, se assolutizzate, possono diventare pretesto di conflitti e di discriminazione. In particolar modo, la forte domanda d’identità che attraversa l’Europa nasce dal timore di uno “scontro di civiltà” con l’islam e dall’incapacità di gestire i cambiamenti sociali e culturali che gli stati laici devono affrontare. Qui la comunità cristiana assume un ruolo importante nel contrastare la deriva di un’idea di scontro di civiltà, in quanto dovrebbe aver acquisito la consapevolezza che l’“altro” nella sua diversità non è una minaccia dalla quale stare in guardia, ma una possibilità di confronto e di arricchimento reciproco. Nello stesso tempo questo urgente bisogno e questa domanda di dialogo non sono accompagnati da approcci specifici e competenti. Il risultato è che il dialogo è diventato una parola di moda, il più delle volte usata in maniera impropria. Si parla diffusamente di dialogo ma spesso con l’intento che il proprio punto di vista sia accettato o imposto in un modo politically correct: una sorta di pragmatismo pensato al fine di un raggiungimento dei propri interessi. Questa interpretazione erronea della parola dialogo viene trasferita anche al dialogo interreligioso. In realtà, alla fine questo termine entra a far parte del linguaggio comune senza che se ne colga tutta la rilevanza, né che se ne viva lo spirito nella prassi. È necessario quindi superare una retorica del dialogo che non porta a nessun risultato o cambiamento. Queste istanze interpellano dunque la teologia, in particolare la missionologia, e mostrano la necessità di esaminare ed esplorare i prerequisiti fondamentali del dialogo che risultano proprio nel cambiamento della propria visione del mondo e dell’altro, nella collocazione del cristianesimo rispetto alle altre religioni, per poi spingersi in tentativi di “rivisitazione” e riformulazione dei significati reali del dialogo e dei metodi per realizzarlo. Non ci si può permettere di peccare d’ingenuità o farsi prendere da facili entusiasmi. Solo uno spirito che cambia la mentalità e che agisce sul lungo periodo può produrre effettive coesioni sociali e integrazioni a livello di paesi e di comunità contro tutte le forme di “comunitarismo” e fondamentalismo, etnocentrismo e separatismo.
(da A. Bongiovanni, Il dialogo interreligioso. Orientamenti per la formazione, Bologna, EMI, 2008, pp. 26-28)*
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