Benché apparentemente univoca e passiva, l’obbedienza è una pratica connotata da movimenti dialettici e un principio che nei diversi contesti storici ha assunto figurazioni complesse. Generata da un’obbligazione, ma fragile senza un adeguato lavoro persuasorio, essa offre le rassicurazioni del conformismo ma rende stabile la vita comunitaria solo se viene riconosciuta come valore. Espressione di affidamento, nel senso che l’obbediente sceglie la propria guida, in molte esperienze antropologiche e religiose l’obbedienza confina con l’umiltà della condotta. Irriducibile tanto all’autosufficienza quanto alla mera sottomissione, essa implica un’interrogazione sulla legge e sul suo statuto.
Il ciclo di lezioni del Centro Studi Religiosi si propone di esaminare questo tema per far emergere la questione della legge in contesti storici nei quali ad essa veniva assegnata un’origine divina e per misurare i reciproci condizionamenti tra legge di Dio e legge umana. L’esplorazione seguirà tanto una via logica – per mettere a fuoco la questione dell’origine della legge – quanto una via storica – per ricostruirne le fonti e le interpretazioni. In questo senso si cercherà di discutere i rapporti tra filosofia e teologia, tra filosofia e religione e tra religione e politica: non solo per documentare la genesi del “problema teologico-politico”, ma anche per visualizzare le realtà storiche e gli universi simbolici all’interno delle quali si è svolta la dinamica della legge. I depositi normativi rintracciati nei testi sacri divengono infatti effettivi nel momento in cui, mediante processi di istituzionalizzazione del potere, ciascuna società e ciascuna cultura religiosa elaborano specifiche regole che ne disciplinino l’uso e l’interpretazione.
Il percorso prenderà le mosse dall’analisi di tre contesti caratterizzati dal contatto tra civiltà diverse. Nel primo, quello del giudaismo ellenistico, il tema greco della legge come ordine della natura e misura cosmica entra in feconda tensione con la problematica biblica della rivelazione, costringendo a un lavoro di mediazione concettuale che trova in Filone di Alessandria il suo più maturo esponente. Nel caso delle comunità paoline, viceversa, la questione del potere è inscindibile dagli scopi della predicazione e investe l’assetto comunitario dell’epoca, indicando le vie di un cambiamento istituzionale che la tradizione successiva ha caricato di significati apocalittici e cristologici. Il giudaismo iberico medievale, infine, mostra le vicende di una cultura che risente di un contesto linguistico e politico arabo e al contempo si nutre di sapere aristotelico, tracciando un quadro articolato nel quale la razionalizzazione della legge religiosa si scontra con la prassi della tradizione talmudica.
I processi che si svolgono nel cuore dell’Occidente – prima latino e poi moderno – non sono meno complessi. La regalità imperiale rivendicata da Gregorio si inscrive in una più lunga storia di consolidamento del potere papale – tanto dentro la Chiesa quanto nei confronti dei monarchi temporali – che indica la pretesa di intrattenere una relazione speciale con la fonte divina della legge, oltre che la richiesta di obbedienza universale. I dibattiti filosofici, teologici, canonistici e politici che hanno accompagnato il lungo trapasso dal “Medioevo” alla prima età moderna – tra XIV e XVI secolo – documentano viceversa il farsi plurali e autonome di sfere dell’agire, per cui teologia, morale, diritto e politica trovano piani differenti di legittimazione, modificando quindi anche la natura dell’obbligazione, ormai divisa tra costrizione della legge e obbligo in coscienza.
Un importante racconto di legittimazione della modernità la presenta appunto come epoca di separazione del politico dal religioso e dello Stato dalla Chiesa. Il tramonto del moderno ha portato tuttavia con sé anche la crisi del modello laicista – cui alcuni brindano mentre altri la biasimano – e ha di conseguenza riproposto all’attenzione diverse tipologie di incrocio tra politica, religione e diritto. Una di esse è inclusa nella categoria dei “sistemi giuridici religiosi”, che schiude interessanti orizzonti comparativi e in cui ricade la concreta esperienza islamica di un ordinamento legislativo fondato sul concetto di divinità. Contestualmente l’analisi dell’obbedienza – rimettendo in gioco i valori della misura, della continenza e della relazionalità – mostra la reciprocità tra libertà e legge, autonomia e responsabilità, nello scenario contemporaneo.
Riepilogo
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