Nell’esperienza del martirio si sedimenta il lavoro delle religioni per il controllo sul significato della morte. Che sia passivo, e accolga la morte come conseguenza di una persecuzione, o attivo, e dia la morte nella convinzione di attuare un disegno divino, il martirio sacrifica sempre la vita in nome di valori assoluti (la verità, la fede, l’amore, la giustizia, la libertà) e pone implicitamente una questione di riconoscimento: ciascuna comunità religiosa plasma i propri martiri e organizza il racconto della loro vicenda in forme mitiche ed escatologiche che servono a rinsaldare l’identità del gruppo. I martiri evidenziano pertanto una peculiare eppure efficacissima forma di potere, quella dell’annullamento di sé, al punto che nelle pratiche di martirio la perdita della vita diviene evento intorno al quale si coagula l’appartenenza religiosa. Esperienza limite e dono assoluto di sé, il martirio, come ogni altra pratica sacrificale, ruota intorno a logiche rituali e a pedagogie spirituali ben consolidate.
La sua funzione non si esaurisce tuttavia nella prestazione sociale, ma ha un indubbio valore anche per le biografie dei singoli, in quanto, per il loro sacrificio, in ogni tradizione religiosa i martiri ricevono retribuzioni spirituali in cui l’esistenza individuale trova compimento. Di più, l’esperienza del martirio ha una connotazione profondamente etica ed estetica, che richiama l’ideale classico della “bella morte” e consente di ricostruire una trasformazione di figure sociali (dagli eroi ai martiri fino alle “celebrità” post-moderne) in cui si condensa, attraverso flussi e riflussi non ancora conclusi, l’intera vicenda dell’Occidente classico e giudaico-cristiano. A tale valenza del martirio si possono ricollegare le sue molteplici spiritualizzazioni, assimilabili per molti versi alle esperienze ascetiche rintracciabili in tutti i grandi monoteismi e nelle tradizioni religiose dell’Asia. Ne emerge una visione che non lo riduce alle sue forme cruente, ma che sottolinea i processi di interiorizzazione degli ideali. In questa chiave le esperienze belliche e sanguinarie, incancellabili dall’evento del martirio, vengono rese metaforicamente attraverso la mediazione letteraria e si depositano in testi sacri, per assumere la forma di un cammino di perfezionamento nel quale la guerra cosmica si combatte dentro l’anima del singolo.
Il ciclo di lezioni del Centro Studi Religiosi si propone di esplorare il tema del martirio in diversi contesti (attraverso analisi teologiche, storico-religiose, antropologiche e sociologiche) per ricostruirne le trasformazioni di lunga durata e l’incidenza, grave e complessa, sulla situazione contemporanea.
Avviando un percorso di ricognizione storica e comparativa, diviene così possibile inscrivere l’apporto dei monoteismi alla questione del martirio in una prospettiva che ne segnali la multiformità e le trasformazioni. All’interno della città antica, l’emergere di “martiri” cristiani è collegato a un’azione pacifista e alla nascita di forme carismatiche di leadership religiosa capaci di rintracciare nella testimonianza dei martiri (il significato etimologico del termine) un importante fattore di legittimazione della comunità dei cristiani, nel quadro di prospettive escatologiche non riducibili alle forme tradizionali dell’eroismo classico. Questa condizione si trasforma allorquando il “martirio per fede” da passivo si fa attivo e si incrocia con gli ideali cavallereschi e le dottrine della guerra giusta. Tale concezione cristiana del martirio è rimasta immutata fino alla cruciale svolta novecentesca, nella quale il pacifismo e la testimonianza hanno riacquistato significato decisivo ai fini dell’esperienza del martirio, connettendosi ai princìpi potenzialmente ecumenici e universalistici della giustizia.
Analogo processo storico, seppure su piani di periodizzazione diversi, è rinvenibile nell’Islam: qui il legame tra martirio (shahada) e guerra santa (jihad) ha originariamente una valenza simbolica e interiore, da intendersi come lotta e conflitto del singolo contro le pulsioni e le inclinazioni malvagie, per subìre quindi, anche per effetto dell’incontro con la modernità occidentale, una progressiva accentuazione politica, fino agli odierni esiti del fondamentalismo.
Nel giudaismo l’ideale del martirio si è stabilito tardivamente: mentre se ne scorgono tracce nel libro di Ester, esso si è sviluppato pienamente solo nel libro di Daniele. L’esperienza di persecuzione cui sono state sottoposte le comunità ebraiche della diaspora documenta sul piano storico e culturale tutte le ambiguità della categoria di martirio, qui spinta alle estreme conseguenze, fino alla sua cancellazione logica. Le letture della Shoah in termini di sacrificio permangono profondamente controverse e problematiche, e invitano pertanto a ripensare le forme del martirio e le condizioni del suo riconoscimento.
Riepilogo
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Informazioni e contatti | La partecipazione è libera. A richiesta si rilasciano attestati di partecipazione. Il ciclo di lezioni è stato inserito tra i corsi di formazione di carattere regionale per l’Anno Scolastico 2004/2005 – Decreto n. 312 Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna. Le lezioni si tengono presso la Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena. Tel. 059/421210, fax 059/421260, csr@fondazionesancarlo.it www.fondazionesancarlo.it |