Dalla prima metà del XVIII secolo la scoperta del mondo sommerso di Pompei ed Ercolano, che finalmente consente di studiare l’antico “dal vero” e non solo per il tramite della letteratura, segna una netta cesura nella cultura europea: da allora l’antichità diviene riferimento fondamentale per ogni versante dell’esperienza e del sapere dell’uomo moderno. L’entusiasmo suscitato dagli scavi di Ercolano e di Pompei influisce in modo davvero decisivo anche sulla passione antiquaria, che diviene sempre più intensa e diffusa nel corso del Settecento. Questo interesse non è relativo solo agli scavi, ma si esprime anche nello studio dei numerosissimi materiali archeologici divenuti ricercati oggetti di collezionismo. Se Roma è il luogo privilegiato per il ritrovamento e l’acquisto di opere e reperti – ne è un documento visivo colmo di spirito il dipinto di Jacques Sablet (1749-1803), che ironizza sull’atteggiamento degli antiquari e dei loro clienti – a Volterra l’abate Mario Guarnacci raccoglie urne funerarie etrusche; a Catania nel 1758 Ignazio Paternò crea un museo ove trovano posto oggetti acquistati sul mercato antiquario accanto a quelli reperiti sul territorio. Ma anche rovine da sempre visibili ottengono nuova attenzione: è il caso dei templi di Paestum, e più tardi di quelli di Agrigento, divenuti elemento di studio e tema di tanti dipinti e incisioni, indicativi del fascino suscitato dall’antico su intellettuali e viaggiatori stranieri e italiani.
L’interesse per le rovine antiche e gli scavi archeologici comporta dei mutamenti nella concezione del Grand Tour, cioè quel viaggio che i giovani anglosassoni, ormai da generazioni, intraprendevano sul continente e soprattutto in Italia per completare la loro educazione, spesso accompagnati da persone colte che li introducevano alle bellezze artistiche del Paese. Dalla fine del XVII secolo, epoca in cui il Grand Tour era diventato una consuetudine per le classi aristocratiche e quelle più abbienti della borghesia emergente, le mete privilegiate dei grand tourists erano soprattutto le città del Nord Italia: Milano, Verona, Vicenza, Padova, Venezia, con occasionali puntate verso Roma e raramente più a Sud. Ma la risonanza ottenuta dalle scoperte archeologiche rende sempre più attraente il richiamo di Ercolano. Questa «città romana conservata sotto terra con tutti i suoi edifici» – così la descrive il ventitreenne Sir Horace Walpole, futuro autore del primo romanzo gotico, Il castello di Otranto (1764) – è fonte di appagamento inesauribile e al medesimo tempo sprone a studi storici e a ricerche documentarie sul campo.
Dalla metà del Settecento, Napoli, le città emerse dalla lava del Vesuvio, Paestum, e la Sicilia diventano mete obbligate dei visitatori stranieri che, interessati all’antico secondo i nuovi parametri culturali neoclassici, adesso considerano anche Roma una tappa ineludibile. In ricordo del loro viaggio in Italia, i protagonisti del Grand Tour amano farsi ritrarre dai pittori più in vista del mondo artistico romano, in primis da Pompeo Batoni, Anton Raphael Mengs, Angelica Kauffmann. A Batoni si deve il modello più attuale per raffigurare quei viaggiatori più o meno illustri: il personaggio, rappresentato in tutta la sua eleganza mondana e con accanto leggibili riferimenti alla sua vita o al suo ruolo sociale, è ritratto in luoghi nobilitati dalla presenza di statue classiche conservate a Roma. Un simile modello viene ripreso dai pittori stranieri di passaggio a Roma, i quali, per rendere ancora più esplicito il rapporto fra la persona ritratta e la città, ambientano le figure sullo sfondo di famose rovine, prime fra tutte il Colosseo.
L’interesse sempre crescente per l’antico induce i collezionisti più appassionati a rendere note le proprie raccolte in raffinate pubblicazioni illustrate da incisioni di eccellente qualità. Queste si rivelano utilissime per il rinnovamento degli stilemi figurativi, soprattutto nel settore delle arti decorative: dagli oggetti d’arredo ai gioielli, alle decorazioni architettoniche di sale e padiglioni.
(da S. Bietoletti, L. Conte, M. Dantini, L. Lombardi, Arteviva, vol. III, Dal neoclassicismo ai nostri giorni, a cura di G. Fossi, Firenze, Giunti, 2012, pp. 10-12)