Obiettivo del ciclo di conferenze è riflettere sul ruolo che il viaggio, inteso tanto in senso fisico e materiale quanto nella sua dimensione metaforica e allegorica, ha svolto nella storia dell’Occidente. Nonostante la sedentarietà sia diventata da tempo uno dei tratti distintivi della vita delle civiltà occidentali (con la creazione di città, istituzioni politiche e luoghi della produzione economica), è innegabile che fin dalle epoche protostoriche si siano parallelamente imposti il desiderio e il bisogno per individui e gruppi umani di viaggiare da un luogo all’altro per una pluralità di ragioni differenti, che talvolta si sono intersecate tra loro: dagli scambi commerciali alla conquista di terre e popolazioni giudicate “barbare”, dalla conoscenza naturalistica o etnologica alla visita a luoghi ritenuti sacri, fino alla formazione personale e alla ricerca di esperienze di vita. In tutte queste esperienze, viaggiare significava entrare in contatto con realtà fino ad allora ignote o poco conosciute e con ciò che era avvertito come diverso e distante da sé. Fino al Novecento viaggiare implicava quindi la necessità di stabilire con l’estraneo una serie di relazioni che andavano dall’incontro al dominio, dall’apertura al conflitto. Oggi, nell’età della globalizzazione, e al netto delle conseguenze determinate dall’epidemia da Covid-19, il viaggio ha perduto molti degli aspetti che lo hanno caratterizzato durante la modernità, ma continua a presentarsi in una molteplicità di forme diverse, non di rado contraddittorie, che spesso intersecano la dimensione fisica con quella digitale, determinando inedite forme di rapporto tra sedentarietà e nomadismo.
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