Video integrale
Già prima di Winckelmann l’Italia era stata la meta del Grand Tour dei tedeschi e molti nobili e artisti avevano visitato soprattutto Roma in cerca di ispirazioni architettoniche. Troppo forte era il richiamo che già alla metà del Settecento veniva amplificato dalle esperienze degli artisti francesi e inglesi. Già nella prima metà del secolo, Roma era stata la meta di architetti come Georg Wenceslaus Freiherr von Knobelsdorff (1736-37), Simon Louis Du Ry (1753-56) e Karl Philipp Christian von Gontard (1749), mentre negli anni in cui è presente Winckelmann giungono anche Erdmannsdorff (1766) e Langhans (1768-69). Si tratta dei futuri protagonisti del classicismo tedesco. Ma l’anno che segna una svolta epocale nella storia del Grand Tour è il 1755, quando Winckelmann – dopo una dolorosa conversione al cattolicesimo – il 18 novembre giunge a Roma e, nel giro di pochi anni, dalla capitale papale irradia in tutta Europa la sua dottrina dell’arte e della storia. Con Winckelmann comincia a costituirsi il nucleo di quella che nel giro di pochi anni si rappresenterà come la colonia romana degli artisti tedeschi. (…) Per la storia del mito italiano dei tedeschi è però più importante il lavoro di un suo allievo, Johann Hermann von Riedesel (1740-1785), il cui tempestivo Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia (1771), pubblicato sotto gli auspici del maestro, accompagna molti degli scrittori e degli artisti che attraverso il Sud dell’Italia intendono farsi un’idea dell’arte greca. Non altri che Goethe – ancora nel 1786 – considererà la guida di Riedesel la sua maggiore fonte di ispirazione e il suo “mentore” spirituale sul suolo classico, insieme alle Notizie storico-critiche dell’Italia (1777-78) di Johann Jacob Volkmann (1732-1803).
La presenza di Goethe in Italia, e in particolare il suo soggiorno siciliano, costituiscono una vera svolta nella cultura tedesca e il fondamento di gran parte dell’esperienza neoclassica. Per quanto la Italienische Reise sia stata pubblicata solo trent’anni più tardi e sia stata intesa come una macchina da guerra armata contro i romantici, mentre è, nella forma soprattutto, forse il libro più romantico di Goethe, è evidente che i contenuti del viaggio abbiano contribuito a creare, una volta in patria, il nucleo del classicismo weimariano, se non altro per la rete di relazioni che si costruisce intorno alla figura di Goethe sia a Weimar sia in Italia e in Europa. Roma e il Sud d’Italia – come da alcuni anni dimostrano gli studi di Paolo Chiarini e le ricerche da lui promosse intorno all’esperienza italiana di Goethe – diventano il vero centro di irradiazione del primo classicismo, non solo perché il viaggio segna una svolta profonda nell’attività goethiana, ma perché la città, con le sue cosmopolite comunità di artisti e scrittori, diviene davvero il crocevia del neoclassicismo europeo. Dopo il viaggio, Goethe è per sua esplicita ammissione “rinato”. Durante il secondo soggiorno romano aveva assistito a un’intensificazione dell’attività creativa. Lavora alacremente al Faust, al Tasso e al Wilhelm Meister. Sempre a Roma maturano le Romische Elegien (Elegie romane, 1795) e naturalmente prende forma il progetto di quello che sarà il testo più importante della letteratura odeporica dell’Ottocento, la Italienische Reise che viene pubblicata – se si escludono alcune importanti anticipazioni sul carnevale romano e sulla grotta di Santa Rosalia – solo molti anni più tardi.
(da M. Cometa, L’età di Goethe, Roma, Carocci, 2006, pp. 61-64)*