È possibile oggi un nuovo umanesimo? La lezione di classici come Ficino e Pico della Mirandola, Bruno e Campanella può considerarsi attuale in un tempo di crisi e di trasformazione sociale, politica ed economica come quello che stiamo vivendo oggi? Sono questi i due principali interrogativi che percorrono il recente libro di Michele Ciliberto, un’antologia di testi appartenenti a quella lunga e gloriosa stagione della vita culturale europea. Organizzati attorno a specifici nuclei tematici (libero arbitrio, sapienza, filantropia, città e Nuovo Mondo, solo per citarne alcuni) e preceduti da densi commenti introduttivi tesi a mettere in luce continuità e differenze tra gli autori, i testi selezionati ruotano intorno alla dialettica tra disincanto e utopia che da sempre è al centro degli interessi e delle ricerche di Ciliberto. Mai come in quel periodo storico, infatti, emerge un «pensare per contrari» capace di coniugare uno sguardo estremamente realistico, in alcuni casi tragico, sulle vicende umane con una forte spinta progettuale rivolta non solo al singolo, ma all’intera comunità. Il punto di partenza della raccolta è la volontà di liberare l’umanesimo e il rinascimento da alcuni “pregiudizi” che ne hanno condizionato la ricezione a partire dal XVIII secolo, dando luogo a interpretazioni che hanno finito con l’imporsi anche tra il pubblico dei non specialisti – un argomento affrontato diffusamente dallo stesso Ciliberto nel volume Rinascimento, edito nel 2015 per le Edizioni della Scuola Normale di Pisa. Risale agli enciclopedisti, e a d’Alembert in particolare, l’idea che il periodo rinascimentale possa essere considerato un’anticipazione del secolo dei lumi, idea sostenuta facendo riferimento a una filosofia della storia teleologicamente orientata e richiamandosi al mito della renovatio culturale rispetto al Medioevo, peraltro già caro agli stessi umanisti (basti pensare alla lettera inviata da Ficino a Paolo di Middelburg in cui si parla esplicitamente di «ritorno all’età dell’oro»). A un simile rapporto di filiazione si viene affiancando nel corso dell’Ottocento l’affermazione di un nesso stringente tra i valori e l’impegno del cosiddetto umanesimo civile e la rivoluzione francese: a proporla sono soprattutto gli storici di matrice liberale e democratica, con in testa Jules Michelet. L’influenza di questi modelli genealogici si è estesa almeno fino all’inizio del Novecento, quando grazie agli studi di Konrad Burdach, promotore di una vera e propria demitizzazione, e alla riscoperta delle correnti ermetiche da parte di etnologi, filologi e storici della religione antica di area tedesca, quali Hermann Usener e Richard Reitzenstein, si è andata affermando una nuova immagine, poi affinata dagli studi successivi. Sarà proprio il discorso sull’ermetismo, e in subordine sulla rivoluzione scientifica, a dominare le interpretazioni novecentesche dell’umanesimo, che conosceranno negli anni Cinquanta del XX secolo un punto di svolta. Tuttavia, nonostante l’avanzamento della ricerca, due miti storiografici dei secoli scorsi si dimostrano particolarmente persistenti: da un lato, l’insistenza talvolta ossessiva su un rapporto diretto tra umanesimo e genesi della modernità, su cui si fa leva spesso per sottolineare la piena coerenza tra i due momenti, come si è visto, e più raramente per sostenere che l’umanesimo e il rinascimento sarebbero l’espressione di un modo di pensare prescientifico dominato da una comprensione prevalentemente magica e astrologica della realtà; dall’altro lato, una concezione unilaterale che si limita ora a rilevare gli aspetti armonici (Jacob Burckhardt su tutti), ora quelli umbratili, senza giungere a una visione d’insieme.
Nella silloge curata da Ciliberto, il tentativo di superare qualsiasi «ideologia umanistica» si sostanzia nella proposta al lettore sia di testi molto noti sia di brani che in genere non rientrano nel canone tradizionale, ma che pure di alcune tendenze di quel momento storico sono specchio fedele. Pensiamo, ad esempio, a un estratto dell’autobiografia di Girolamo Cardano (De vita propria liber) incluso nel primo capitolo dedicato alla condizione umana, in cui si trova una descrizione dettagliata delle malattie sofferte dall’autore durante la propria esistenza e dei rimedi adottati per guarire. In questo contesto, il lessico medico diventa lo strumento attraverso il quale si mostra, sì, la fragilità dell’uomo, ma anche la sua acuta capacità di osservatore e sperimentatore. Non solo: Cardano rivela come le vicende personali possano offrire lo spunto per una meditazione filosofica e come la vita stessa possa perciò diventare oggetto di riflessione. Da questo punto di vista, conferma quindi pienamente quella rivalutazione della componente biografica che è un tratto tipico degli umanisti, come mostrano gli illustri esempi dei Ricordi di Guicciardini, del terzo libro dei Discorsi di Machiavelli o delle Epistole di Bruno. Un altro testo per certi versi “eccentrico”, e proprio per questa ragione rivelatore dell’esistenza di una pluralità di punti di vista e di registri stilistici su uno stesso tema, si trova nell’ottavo capitolo della raccolta, che si concentra sul significato e sull’origine del fenomeno della tirannide e sull’irruzione del conflitto all’interno del tessuto sociale (motivo savonaroliano e machiavelliano). Si tratta del testamento del mercante e uomo politico fiorentino Filippo Strozzi, che nel 1538 decise di togliersi la vita nella Fortezza da Basso, dove era stato imprigionato a seguito della fallimentare spedizione dei fuoriusciti repubblicani da lui guidata contro il duca Cosimo de’ Medici. Strozzi mostra gli effetti della tirannide per così dire “dal basso”, in una pagina tanto vivida quanto tragica, in cui il parallelismo con Catone Uticense sembra indicare che l’unico modo per sfuggire alla negazione della libertà personale imposta dall’esterno è decidere di privarsi volontariamente della vita. Ciliberto sembra quindi suggerirci che l’unico antidoto a nostra disposizione contro le forzature storiografiche è il ritorno alle fonti, le sole che possano restituirci il dato storico senza nascondere la complessità delle posizioni in gioco, le influenze reciproche e gli aspetti ora di continuità ora di rottura. Soltanto attraverso questa paziente opera di discernimento tra miti e concetti, tra dimensione storica e riflessione storiografica sarà possibile valorizzare, all’interno dei molti temi che caratterizzano la cultura umanistica e rinascimentale, quelli che possono dirsi ancora vivi dal punto di vista etico e politico. Al centro, rimane saldamente la questione dell’uomo e del suo destino, con le sue molteplici declinazioni.