La raccolta di interventi, scritti o pronunciati da Jürgen Habermas in diverse occasioni, appare percorsa da un motivo unitario: la funzione svolta dall’intellettuale nella società contemporanea. Grazie alla particolare sensibilità che lo caratterizza, l’intellettuale, sostiene Habermas, dovrebbe essere in grado di fiutare «ciò che conta» e intuire, prima degli altri, i pericoli che minacciano la vita politica comunitaria, proponendo, al contempo, soluzioni o alternative, senza disdegnare il gusto per la provocazione e il ricorso al pamphlet. Nella prima sezione, significativamente intitolata Ah, Europa!, si insiste sulla necessità di proseguire il processo europeo di integrazione. A tal proposito, Habermas non nasconde la profonda preoccupazione per il futuro dell’Unione e non rinuncia a denunciare con forza i limiti e le manchevolezze di quella che sinora si è rivelata una costruzione tanto debole quanto elitaria, generalmente imposta dall’alto ai cittadini. Per sopperire, almeno in parte, al deficit democratico e superare la grave impasse in cui versa il progetto europeista, il filosofo auspicava – prima del 2009 – l’indizione di un referendum a doppia maggioranza (che coinvolgesse, cioè, governi e popolazione) per decidere se eleggere direttamente il presidente dell’Unione; se dotare quest’ultima di un vero e proprio Ministero degli Esteri; se uniformare a livello politico e sociale i vari Paesi, armonizzando per quanto possibile anche i loro regimi fiscali. Oggi come allora, rimane decisivo interrogarsi sulla reale finalité europea e dar vita a un’unica sfera pubblica, derivante dalla trans-nazionalizzazione delle singole sfere pubbliche statali. Una proposta, quest’ultima, che ricorre anche nel postscritto a La democrazia ha anche una dimensione epistemica?, contenuto nella seconda sezione del libro. Nel denso saggio Habermas propone, quale alternativa alla concezione liberale e repubblicana della democrazia, un modello deliberativo, attento tanto al processo di formazione dell’opinione pubblica, quanto alle condizioni di razionalità dei discorsi. Nel tentativo di conciliare un’impostazione normativa con i risultati di una ricerca di natura prettamente empirica, l’Autore analizza le possibilità per il modello deliberativo di convivere con il fenomeno della comunicazione di massa, certamente uno dei caratteri più rilevanti della società contemporanea. Tale forma di comunicazione presenta, senza dubbio, notevoli differenze rispetto alle forme discorsive previste dal modello: non è vincolata da particolari limitazioni procedurali, non risponde ad alcun criterio di qualità delle asserzioni proposte, né, infine, dà conto di una certa rappresentatività. Da un punto di vista strutturale, la comunicazione di massa si rivela "astratta", "asimmetrica" e facilmente soggetta alle influenze esercitate da poteri illegittimi. È astratta sia perché prescinde dalla presenza reale dei fruitori, spesso considerati passivi, sia perché manca di interazioni fra gli attori sociali; è asimmetrica dal momento che non prevede alcuna reciprocità di ruoli tra parlanti e destinatari; è, infine, spesso esposta alle dinamiche del potere, che sia ad essa connaturato (quello mediatico) o rappresentato da agenti esterni (in particolare, la classe politica e gli esponenti o portavoce di sistemi funzionali). Nonostante simili caratteristiche, Habermas ritiene che la comunicazione di massa possa, «in circostanze favorevoli», contribuire a migliorare il livello qualitativo delle deliberazioni politiche, grazie soprattutto alla possibilità di dare vita a opinioni pubbliche riflessive. L’efficacia di tale contributo è evidentemente subordinata al rispetto di due principi: la realizzazione di un sistema mediatico indipendente e autoregolato, da una parte, la garanzia di un confronto costante tra media e società civile, dall’altra. La terza e ultima sezione (Ritratti) è consacrata a ricordi di studiosi e amici: particolarmente interessanti, e a tratti persino toccanti, quelli dedicati a Richard Rorty e Jacques Derrida. Del primo viene enfatizzato l’impegno pubblico, in continuità con la sua riflessione filosofica; del secondo si sottolineano la questione etica con cui il suo pensiero si confronta e le radici ebraiche alla base della sua appropriazione dell’ultimo Heidegger. Proprio Rorty e Derrida rappresentano due validi esempi di come l’intellettuale possa ancora ritagliarsi un ruolo critico nella società contemporanea.