Gli ebrei costituivano una presenza culturale rilevante per l’impero romano e abitavano le grandi città in cui si distinguevano per la laboriosità e per il rispetto delle leggi. Questa convivenza pacifica non funzionò tuttavia allo stesso modo proprio a Gerusalemme, dove la presenza di movimenti di rivolta, spesso di origine religiosa, amplificò l’ostilità della popolazione verso l’occupazione romana. Ciò che ha particolarmente interessato Martin Goodman – professore di Studi ebraici a Oxford – e lo ha spinto alla sua approfondita analisi è stata proprio la violenza con cui nel 70 d.C. l’impero romano colpì Gerusalemme, una città che seppur stesse vivendo un periodo di particolare splendore, non poteva certo rappresentare una minaccia per la stabilità di Roma. Cercando di chiarire i motivi di tale decisione, Goodman ricostruisce un parallelo tra le due città, descrivendone minuziosamente i costumi sociali, la vita quotidiana, la cultura. La fonte principale rimane la testimonianza di Flavio Giuseppe, storico ebreo di stirpe sacerdotale che divenne cittadino romano e che fu perciò in grado di descrivere dall’interno entrambe le culture. Il suo racconto dimostra infatti grande rispetto per il mondo ebraico, di cui racconta con partecipazione la distruzione. Nell’impero esistevano e rimasero in vita molte culture locali, riconosciute dai governanti che accoglievano nei propri ranghi uomini capaci, da qualsiasi parte provenissero, purché vivessero alla maniera romana. Si può quindi parlare di un mondo multiculturale, sebbene delimitato dalla cultura predominante romana e dalla conseguente definizione dell’appartenenza e della cittadinanza. Le pagine di Goodman sottolineano le differenze tra le due culture – la concezione del tempo, il ruolo della religione, il valore del diritto, la centralità della sinagoga come aspetto educativo – e rilevano la diversità del mondo giudaico da quello romano, così come l’eccezionalità della persistenza dell’identità giudaica, più duratura di molti altri popoli assoggettati all’impero romano; un’identità che iniziò a perdere parte della sua integrità solo attraverso un forte processo di ellenizzazione. Tuttavia, sostiene Goodman, la differenza culturale non è ancora sufficiente per spiegare la spietatezza della reazione romana. La causa che portò alla catastrofe deve essere ricercata in fattori interni alla struttura di governo dell’impero romano. In quegli anni, infatti, Roma era scossa da una serie di drammatici eventi che agitavano il senato e provocarono tumulti tra i cittadini. Il nuovo imperatore Vespasiano (in pochi mesi si erano succeduti Nerone, Galba e Ottone, tutti morti in modo violento), di formazione militare e sostenuto proprio dalle legioni d’oriente, aveva bisogno di una vittoria che ne consolidasse il potere e alimentasse la sua fama tra il popolo. La rivolta giudea iniziata nel 66 fu quindi l’occasione giusta per una punizione esemplare e totale, culminata con la distruzione del Tempio e la dispersione dei superstiti. E le conseguenze di tale azione avrebbero condizionato l’intera storia del popolo ebraico.