Di fronte all’appropriazione e all’alterazione della storia a fini nazionalistici e identitari, Geary afferma che la corretta analisi per comprendere adeguatamente l’avvento delle realtà sociali e politiche che, nell’Alto Medioevo, presero il sopravvento dopo la dissoluzione dell’Impero romano deve essere effettuata sgombrando il campo dall’idea di "un’acquisizione iniziale" che avrebbe avuto luogo in un dato momento e che legittimerebbe il possesso di un determinato territorio. Infatti le ideologie nazionalistico-etniche – un prodotto dei secoli XIX e XX che ha causato la creazione di miti delle origini e che viene utilizzato oggi per giustificare le rivendicazioni di sovranità in molti luoghi dell’Europa – mirano a giustificare la formazione dei paesi europei come un processo ininterrotto e continuo, legittimando così il ricorso ad antiche tradizioni e a popoli originari. Queste ideologie, avverte Geary, determinano però un’appropriazione culturale che non tiene conto della natura fluida e dinamica con cui si sono formate le entità etniche che vengono ideologicamente identificate come germani, slavi, polacchi e così via. Proprio per confutare questa concezione, è necessario un nuovo approccio che consenta di capire le reali trasformazioni sociali tra i secoli IV e XI. Si tratta di un approccio differente rispetto alle rivendicazioni a sfondo linguistico che inventano lingue ufficiali creando frontiere linguistiche rigide e puntando ad affermare che la specificità culturale di un popolo è molto più antica di quella politica e giungendo infine a sostenere l’esatta corrispondenza tra i popoli altomedievali e quelli contemporanei. Secondo Geary, i confini che separavano i popoli nell’Alto Medioevo erano soprattutto di natura politica, economica e sociale. Gli stessi popoli barbari che trasformarono il mondo romano e lo travolsero erano entità politiche che associavano gruppi di diversa origine culturale, linguistica e geografica: si trattava infatti di "federazioni", di aggregati tribali la cui composizione era mutevole e fluida, la cui consapevolezza identitaria è stata "imposta" solo ex-post dagli storici nazionalisti. Pensare quindi di stabilire una corrispondenza esatta tra quei popoli e i popoli contemporanei, rileva Geary, significa dare corpo a un mito che non è mai esistito: all’epoca molte popolazioni venivano identificate da nomi che designavano titoli onorifici, nessuno dei quali poteva però rimandare a un popolo già esistente. A partire dal V secolo i nomi di questi popoli vennero utilizzati per indicare delle rivendicazioni di unità sotto la guida di capi che speravano di monopolizzare le tradizioni associate a quei nomi e che facevano proprie delle tradizioni eterogenee, inventandone di nuove (genealogie sacre, regie, eroiche). Grazie alle vittorie militari, alcune di queste rivendicazioni riuscirono a creare le realtà che postulavano fin dall’inizio e nel volgere di alcuni secoli questi gruppi si trasformarono in popoli dotati di miti fondativi che ne spiegavano le origini in termini etnici, ma che non potevano essere omogenei dal punto di vista linguistico e culturale.