Il merito di questo libro, che si contraddistingue anche per la bellezza delle illustrazioni a colori, è triplice, come tre sono gli studiosi che vi hanno lavorato: in primo luogo fornire, grazie all’attenta e approfondita ricerca di Chiara Frugoni, una nuova interpretazione dei motivi che portarono Enrico Scrovegni a edificare e affrescare la cappella padovana, riconsiderando la vita e la personalità del ricco finanziere e rivalutando completamente le ragioni della sua imponente committenza; in secondo luogo valorizzare e dare giusto risalto alle pitture imitative, ovvero ai finti marmi e alle decorazioni che compongono quella «macchina scenica quanto mai raffinata» voluta da Giotto poiché, come dimostra Riccardo Luisi, egli «volle realizzare, oltre a un ciclo di storie relative alla Madonna e a Cristo, una parte architettonica dipinta, che, pur dividendo materialmente gli episodi, contribuisse in realtà a legare in un progetto unitario l’intero ciclo affrescato»; infine, pubblicare integralmente l’inedito testamento di Scrovegni, tradotto, introdotto e scrupolosamente commentato da Attilio Bartoli Langeli in appendice al volume. La dettagliata lettura delle immagini e del testamento è volta a dimostrare come la costruzione e la decorazione della chiesa di Santa Maria della Carità avessero «intenti autocelebrativi, scevri da sensi di colpa» e ostentassero «il successo personale del committente che si rispecchia nel consenso cittadino, nella gratitudine che il comune di Padova deve avere verso un tale mecenate». Non è dunque un peccatore pentito del proprio lavoro di prestatore e usuraio a edificare il monumento per la sua (e della sua famiglia) redenzione, ma un uomo fiero del suo operato e delle sue ricchezze, che vuole costruire un unanime consenso intorno a sé e dimostrare come con simili atti di generosità si possa fare buon uso del potere e del denaro. Dalle ultime volontà di Enrico emerge l’immagine di un uomo attento al calcolo economico e alla gestione pratica dei suoi averi piuttosto che all’espiazione dei suoi peccati e all’assoluzione della sua anima: egli dimostra di essere un individuo concreto e concentrato sull’aspetto terreno di un evento come la morte, non certo sulle sue conseguenze spirituali e ultraterrene. A dimostrazione di questa mancanza di ripensamenti e di incertezze nell’animo di Scrovegni concorrono, secondo Frugoni, sia le modifiche, o meglio le omissioni, apportate agli episodi raffigurati da Giotto in cui sarebbero dovuti comparire usurai o prestatori di denaro, sia il fatto che Enrico in primis si preoccupava della sepoltura del proprio corpo, insistentemente voluta nella cappella padovana.