Frutto di relazioni presentate al convegno Lo straniero, ovvero l'identità culturale a confronto (Università di Siena, 8-9-10 dicembre 1989), questa raccolta di saggi delinea i caratteri dello 'straniero' nella cultura freca, romana, giudaica e in società di interesse etnografico con l'intento di promuovere una conoscenza che porti a riflettere "non più solo sulla cultura ma, ancora una volta, direttamente sull'uomo" (p. 15). Nostalgia e oblio, malinteso e indiscrezione sono le categorie, mediate da Lévi Strauss, di cui Bettini si serve per introdurre la raccolta. Ammalati di nostalgia erano i soldati svizzeri che, lontani dalla patria, ascoltando indotti alla diserzione o, in alcuni casi, al suicidio, a causa di un 'eccesso di comunicazione con se stessi'. Ma se "chi comunica troppo con se stesso cade in oblia", e come i compagni di Ulisse, trasformati in porci dalla maga Circe, perde la propria identità. Chi non comunica abbastanza con gli altri, d'altra parte, spiana il cammino al malinteso; lo straniero che arriva in mezzo a noi si presenta come un enigma, appare 'più grande', 'più brutto', fuoriesce "dalla misura che noi riteniamo sia quella giusta" (p. 8), cioè non comunica, provoca il malinteso. Tuttavia, chi comunica troppo con gli altri corre il rischio della indiscrezione, può invadere cioè il territorio altrui costringendo l'interlocutore ad un confronto talvolta non desiderato. La frase di Terenzio, fatta propria da Bettini, "Homo sum, humani nil a me alienum puto" risulta un invito all'indiscrezione, "all'eccesso come atto di indispensabile per stabilire la comunicazione con lo straniero" (p. 12), un invito a rompere le barriere senza esportare in nostri valori, ma senza neppure cedere al relativismo. F. Remotti, P. Angeli Bernardini, M. Moggi, C. Copet-Rougier delineano i volti affascinanti e temibili dello straniero in società molto diverse tra loro, giungendo alla convinzione, espressa da E. Copert-Rougier, che "la creazione di un'identità, sia individuale o culturale, passa attraverso lo straniero e accetta implicitamente o esplicitamente questo inevitabile percorso" (p. 173).