Ripercorrendo un ampio arco temporale – dagli inizi del cristianesimo fino al XIII secolo – il volume di Kleinberg mette in evidenza il modo in cui le testimonianze, le biografie (reali o leggendarie), i racconti delle vite di santi, martiri, asceti, hanno assunto un ruolo rilevante all'interno del cristianesimo, al punto che costituirono una "teologia propria" che conviveva e contrastava con l'ortodossia e la teologia ufficiale. Queste raccolte di gesta formarono infatti un tessuto narrativo che venne accettato dalla credenza popolare e anche dalle autorità ecclesiastiche, nonostante il loro contenuto rasentasse l'eresia. Se alla fine essi furono accettati fu proprio in virtù del prevalere – dopo una costante riscrittura delle storie dei santi, che in questo modo venivano adattati ai mutevoli ideali culturali – degli elementi leggendari su quelli reali, del valore salvifico e miracoloso delle reliquie dei corpi venerati. Questi aspetti mantennero i fedeli all'interno del conformismo religioso, oscurando e mettendo in secondo piano gli aspetti "rivoluzionari" e innovatori delle esperienze dei santi. Un esempio significativo al riguardo è il confronto tra la vicenda di san Francesco d'Assisi – alfiere di una fede che diventa forte denuncia morale e sociale – e la popolarità della narrazione delle gesta di fra' Ginepro, che divenne esemplare di un francescanesimo e di una santità sentita come più autentica di quella del fondatore. Il santo raccontato nelle leggende (come quelle celeberrime raccolte da Jacopo da Varagine) perdeva la propria individualità per diventare un "prototipo"; non conosceva né fallimenti né difetti e per questo motivo poteva essere facilmente addomesticato e rientrare a far parte della società dei santi. La "pericolosità" sociale degli asceti prima e dei santi poi, sottolinea Kleinberg, derivava dalla loro condizione marginale rispetto alla società che li esprimeva e dai loro comportamenti potenzialmente destabilizzanti. Anziché favorire la ribellione, gli asceti e i santi entrarono a far parte dell'ortodossia poiché furono utilizzati come ponti simbolici tra la purezza dei tempi passati e il degrado del tempo presente. Furono gli ordini mendicanti, a partire dall'XI secolo, a comprendere l'importanza del racconto per una predicazione che raccogliesse l'adesione del popolo. In seguito al successo di questa predicazione la Chiesa intervenne a disciplinare e controllare questa mole di racconti: creò il dispositivo di controllo chiamato "canonizzazione", incoraggiò la venerazione di quei santi che rispondevano ai suoi criteri, favorì la riscrittura di un corpus narrativo che mettesse in risalto gli esempi da imitare.