La doppia verità

Conflitti di ragione e fede tra Medioevo e prima modernità


In ambito filosofico, con "doppia verità" si è soliti riferirsi alla dottrina attribuita ad alcuni scolastici medievali, secondo la quale devono essere considerate simultaneamente vere sia una conclusione raggiunta mediante la ricerca filosofica, sia una contraria, che viene invece accettata per fede. Per un lungo periodo, fu Averroè ad essere considerato il fautore della teoria della "doppia verità" (quando invece egli sosteneva l'unicità della verità e la differenza delle modalità di conoscenza di essa). Il testo di Landucci analizza questa disputa sulla compatibilità tra verità di fede e verità di ragione, considerando un lungo arco temporale (dalle prime formulazioni, nell'ambiente dell'Università di Parigi intorno al 1270, fino alle rielaborazioni cinquecentesche e seicentesche che preludono ai libertini). L'Autore esamina analiticamente alcuni episodi significativi di questa controversa vicenda, opponendosi alle interpretazioni finora condivise dagli storici della filosofia medievale. Tra i momenti considerati vi sono la disputa tra Sigieri di Brabante e Tommaso; il regolamento disciplinare per i maestri delle Arti del 1272, in cui veniva imposto, sotto minaccia di scomunica e di radiazione dalla Facoltà, «o di confutare quanto, nei testi che commentavano, apparisse in disaccordo con la fede cristiana, o almeno di dichiararlo falso "assolutamente" e "totalmente" – cioè non: solo secondo la fede, e non anche secondo la ragione – o, altrimenti, tacerne» (p. 9); Boezio di Dacia, Buridano e le formulazioni degli occamisti inglesi intorno al 1310; le riprese del tema da parte degli "averroisti", poi Pomponazzi, Hobbes e Bayle. In tutti questi casi, tesi fondamentali della fede cristiana (l'immortalità dell'anima, la creazione del mondo, ecc.) vennero sottoposte a obiezioni secondo ragione, riconosciute implicitamente o esplicitamente insuperabili. Di fronte a tale situazione, secondo Landucci, fu introdotta la dottrina della "doppia verità": generalizzando, essa consisteva nel fatto che si poteva riconoscere l'esistenza di una contraddizione tra fede e ragione e insieme dichiararsene soggettivamente fuori «con un mero atto di ossequio [della fede], senza cioè intervenire sulla contraddizione» (p. 142), limitandosi «ad avvertire del contrasto, senza farsi carico di confutare [la tesi filosofica]» (p. 8). Con i termini di Leibniz, l'oggetto del contendere può essere formulato in questo modo: «le verità di fede sono solo al di sopra della ragione, o, talune, anche contro di essa?» (p. 142). Ad esser messo in questione è quindi l'intero rapporto di conformità tra fede e ragione, che trova in questo testo una prospettiva ermeneutica originale rispetto a quelle finora elaborate.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2006
Recensito da
Anno recensione 2007
Comune Milano
Pagine 155
Editore