Il libro di Mauro Pesce ha un duplice scopo: da una parte la ricostruzione dell’ermeneutica biblica galileiana e dall’altra la ricezione delle teorie galileiane nell’ambito del cristianesimo europeo dei secoli successivi. Al centro del testo vi è un’analisi minuziosa e attenta delle due famose lettere in cui Galileo formulò «una serie di princìpi ermeneutici per permettere l’accordo tra la nuova scienza e le dottrine teologiche tradizionali» (p. 10): la Lettera all’abate Benedetto Castelli del 1613 e la Lettera a Cristina di Lorena del 1615. Il procedimento del Santo Uffizio che si concluse il 24 febbraio 1616 con le due censure teologiche sulle principali proposizioni copernicane prese inizio sul testo della lettera a Benedetto Castelli del 21 dicembre del 1613.
Nel ventennio che va dal 1590 al 1610 in Galileo avviene il lento passaggio dalla posizione tolemaica a quella copernicana. Le prime obiezioni teologiche a Galileo arrivarono da Ludovico delle Colombe che adduceva numerosi passi biblici a confutazione delle teorie copernicane. A lui si aggiunse, subito dopo, Francesco Sizzi a difesa delle teorie tolemaiche. Nel frattempo Galileo, nel 1611, scrivendo una lettera a Piero Dini, giustificava le proprie posizioni limitandosi ad argomentazioni di carattere scientifico e alla difesa del cannocchiale, sostenendo che tramite questo strumento non si vedono illusioni ottiche, ma si introduce un effettivo principio epistemologico. Una delle tesi storiche documentate dal libro è che Galileo fu sempre consapevole delle enormi conseguenze in campo teologico comportate dall’accettazione del copernicanesimo, anche se egli dissimulò sempre tali conseguenze. Per tutta la vita Galileo cercò soluzioni al problema del rapporto tra conclusioni scientifiche e verità biblica. Dopo la condanna del copernicanesimo abbandonò la tesi esposta nella Lettera a Cristina e, per amore della ricerca scientifica, accettò l’idea che essa fosse soltanto una semplice ipotesi. Infine, secondo l’autore, la condanna del copernicanesimo, nel febbraio del 1616, ebbe un effetto fatale sull’evoluzione dell’ermeneutica biblica cattolica, in quanto fu implicitamente convalidata una teoria ermeneutica concordista. Da quel momento si rafforzò sempre di più nel cattolicesimo la tendenza ad affermare che la Bibbia è necessariamente vera anche dal punto di vista scientifico: «ci sarebbero voluti quasi trecento anni, con la fine del concordismo e con la fine della repressione antimodernista, perché si potesse aprire la strada a una profonda riforma della teologia cattolica» (p. 3).