Il libro di Bulliet può essere letto a due livelli, come studio storico e come intervento nel dibattito pubblico sui rapporti tra Islam e Occidente. In questo secondo senso esso contesta l’ipotesi dello «scontro di civiltà» formulata da Huntington, di cui ricostruisce le matrici nella tradizione del protestantesimo fondamentalista americano. Analogamente, mette in discussione l’approccio “orientalistico” dei Middle East Studies, esemplificato dalle ricerche di Bernard Lewis. Sul piano storico la «civiltà islamico-cristiana» connota l’evoluzione di un sistema socio-religioso non esauribile nella comunanza tra le “religioni di Abramo”. Da questo punto di vista una visione complessiva del suo sviluppo indica profondi parallelismi e intrecci nella base storica. Nel lungo periodo che va dalla nascita dell’Islam al sorgere della modernità Bulliet individua elementi di corrispondenza strutturale tra Islam e cristianesimo, tanto nella gestione dei rapporti con le religioni pre-esistenti (politeistiche o monoteistiche), quanto nella formazione di un corpo religioso socialmente autonomo; tanto nel ruolo cruciale svolto dall’Islam per la trasmissione di cultura greco-romana nello spazio del Mediterraneo, quanto nei comuni problemi di espansione imperiale e proselitismo. L’avvento di una modernità matura nel XIX secolo e di una supremazia politico-sociale dell’Occidente segna una nuova fase anche per i paesi musulmani, ispirati nell’attuazione di un «metodo napoleonico», ossia un programma di riforma imperiale e nazionale basato sull’anticlericalismo, l’uso della stampa e lo sviluppo burocratico e militare. Nel corso delle sue analisi Bulliet – specialista del Medioevo islamico – non cede mai alla tentazione di proporre una teoria omogenea della modernità, che misuri la convergenza di Islam e Occidente solo in base a parametri quali la razionalizzazione economica, il sorgere di autorità territoriali o la secolarizzazione. Riconoscendo che questi criteri sono un risultato e non un presupposto del processo, egli si astiene dal farli retroagire sull’interpretazione storica, indicando per esempio, con interessante ipotesi contro-intuitiva, come il tasso di conversione all’Islam tra XVI e XX secolo sia enormemente più alto rispetto al cristianesimo e configuri pertanto una maggiore capacità di espansione religiosa. Nel visualizzare una «civiltà islamico-cristiana» Bulliet propone esplicitamente una concezione della civiltà che non esclude il conflitto interno, la contraddizione e la presenza di molteplici faglie storiche di divisione. Si potrebbe forse parlare con altrettanta coerenza di «modernità plurali» (Schulze) o di «storie connesse» (Subrahmanyam), ma il contributo di Bulliet apre una prospettiva e ispira un dibattito assolutamente da non trascurare.