In questa riscrittura delle prime due sedute di un suo seminario su “spergiuro e perdono” Derrida si confronta in particolare con la riflessione che Jankélévitch ha sviluppato nel saggio Il perdono. In quel testo da un lato veniva coniato il concetto di etica iperbolica (il perdono è il comandamento supremo); dall’altro si affermava che anche quando il perdono dell’inespiabile avrà avuto luogo, esso resterà illusorio, illegittimo, mescolato all’oblio: la storia continuerà con l’equivoco di un perdono confuso con un lavoro del lutto, con un’assimilazione del male. Derrida si lascia interrogare da alcune aporie. In primo luogo il perdono può perdonare soltanto l’imperdonabile, l’inespiabile e quindi esso cerca di compiere ciò che sembra im-possibile. Ci si deve domandare, afferma l’autore, se l’urgenza del perdono im-possibile non sia proprio l’esperienza di sopportazione dell’impossibile, come se il perdono, lungi dall’essere una modificazione del dono, ne fosse la verità prima e ultima (il perdono come l’impossibile verità dell’impossibile dono). Con tale affermazione il pensiero si rivolge alla Shoah, ossia a un crimine fuori proporzione rispetto a ogni misura umana. La storia, come storia del perdono, si è fermata per sempre nei “campi della morte” e dovrà restare bloccata dal male assoluto. La riconciliazione e il perdono non saranno autentici, ma saranno sintomi di un lavoro del lutto, di un lavoro terapeutico svolto dall’oblio.
Nella radice della parola “perdono” si trova un riferimento al “dono” – concetto attentamente analizzato da Derrida nel corso della sua produzione filosofica – e non sorprende che in secondo luogo Derrida metta a confronto dono e perdono a partire dal loro elemento comune di sentirsi colpevoli di non aver donato abbastanza, portando a chiedere perdono del dono stesso, per il desiderio di sovranità e di onnipotenza che caratterizza sempre il dono. Ne scaturiscono interrogativi di grande complessità: è possibile domandare perdono a una collettività, a una comunità? È possibile concedere il perdono a un altro che non sia l’altro singolare? Il perdono è cosa che l’uomo può concedere oppure è un potere riservato a Dio? Si può accordare il perdono anche a chi non l’ha domandato? Sono queste alcune delle domande a cui Derrida presta attenzione, rispondendo che il perdono può essere domandato solo in un faccia a faccia senza mediazioni: questa “solitudine singolare” , quasi segreta, farebbe del perdono un’esperienza estranea al regno del diritto e dell’istituzione pubblica. Per questo motivo il perdono è spesso domandato a Dio, non perché Egli solo è capace di perdono, ma perché, in assenza della singolarità di una vittima, Egli è il nome di una singolarità assoluta.