Nei due distinti saggi di cui si compone il volume, Taylor propone un’interpretazione del fenomeno religioso attenta alla sua dimensione sociale e alla collocazione storica, sottolineando come l’incontro con la cultura moderna abbia da un lato provocato “disincanto”, ma dall’altro abbia fatto progredire certi aspetti della vita cristiana più di quanto non fosse avvenuto all’interno della «piena cristianità». Infatti nell’affermazione secolare della vita comune e dei diritti universali incondizionati (di matrice liberale) un’innegabile estensione del vangelo è andata di pari passo con una negazione della trascendenza: viviamo, sostiene Taylor, all’interno di una cultura morale in cui la sofferenza e la morte delle persone possono condurre a mobilitazioni di scala planetaria e a gesti di solidarietà pratica. Pertanto se la rivendicazione dell’esistenza di Dio appare ardua da sostenere, nondimeno Dio rappresenta ancora un riferimento cruciale nell’autorappresentazione morale degli individui, perché continua ad assolvere il ruolo di fonte morale, ultimo gradino di un percorso di trascendimento di sé che ha il suo fondamento nella natura stessa dell’uomo. Se non vi è altro accesso alla trascendenza se non attraverso le forme assunte dal nostro orizzonte morale e spirituale, è a esso che dobbiamo guardare per trovare le parole e le immagini necessarie per andare “oltre la vita”. La vita religiosa diventa sempre più soggettiva e personale, quindi l’appartenenza a una chiesa più ampia diventa secondaria. Allo stesso tempo però la pluralizzazione e la frammentazione dei quadri di riferimento morale assumono connotazioni molto ampie. In questo quadro si è perso di vista il fatto che l’uomo è un essere che si autotrascende costitutivamente e acquisisce un’identità significativa quando fa riferimento a degli orizzonti di senso che non sono una sua creazione, ma che gli preesistono . Questi orizzonti di senso, che Taylor definisce come “beni”, sono “irriducibilmente comuni”, cioè esistono soltanto se li condividiamo (come avviene per le comunità politiche), ma sono anche “irriducibilmente plurali”. La complementarità e l’identità dovranno fare parte della nostra unità definitiva: invece la grande tentazione storica a cui non ha saputo sottrarsi la cristianità, sottolinea Taylor, è stata di dimenticare tale complementarità (evidenziata nel cristianesimo dalla figure della Trinità) – cercando l’unità dell’umanità al prezzo di sopprimere diversi elementi di quelle diversità che Dio stesso aveva creato – e di puntare direttamente all’identità. Oggi ci viene chiesto con forza, dalla storia che stiamo vivendo, di ricercare il bene fondamentale della pluralità e della differenza.