Lettera a un kamikaze


In questo libretto, in forma di lettera e nel segno di un’intensa partecipazione personale, l’autore si rivolge a uno shahîd, un martire islamico che si appresta a un attentato suicida. Dalla trama di un testo che è suasorio oltre che analitico, emerge il riconoscimento delle motivazioni possibili di questo gesto. In primo luogo l’ambivalenza del testo coranico, di cui i “maestri dell’orrore” sottolineano il contratto tra Dio e i fedeli per accedere ai giardini del Paradiso a costo di uccidere o essere uccisi, dimenticando tuttavia come la sura 4 e un’intera tradizione esegetica mostrino che uccidere una creatura è un crimine ingiustificabile in nome di Dio. In secondo luogo le ragioni dei “kamikaze” sono anche sociali e politiche, e rinviano a una profonda nostalgia per un passato (quello di Baghdad, Damasco, Cordoba, Toledo) che non tornerà. Risentimento per le persecuzioni passate e lotta contro l’esclusione presente divengono molle per un’azione distruttrice.

Per rispondere a questa situazione, Fouad Allam indica una serie di soluzioni che, leggendo tra le righe, si possono ricondurre a quattro fulcri tematici. La prima mossa è storica e culturale: tornare ai classici. Nelle pagine dell’autore viene rievocato in questo senso Ibn Arabi, che nel XII secolo ha proposto una visione della shari’a come “strada bianca”, cammino di beatitudine che coinvolge i singoli lungo la “via del cuore” sottraendoli alla furia delle passioni distruttrici. Analogamente, assieme a molta poesia arabo-sicula medievale, viene richiamato l’insegnamento di Averroè, che in un’epoca di conflitti teologici e politici paragonabile alla presente ha saputo indicare prospettive di convivenza. Una seconda soluzione è invece filologica ed esegetica, e passa attraverso la consapevolezza che nel Corano non si danno dimostrazioni semplici e lineari del vero, bensì negoziazioni di verità risultanti dal confronto con gli altri, dal dialogo. Si profila qui anche la terza soluzione proposta da Fouad Allam, di ordine teologico: per l’autore “la pluralità delle fedi è la traduzione dell’unicità divina”, al punto che – con una lettura del monoteismo destinata a far discutere – la “dissoluzione delle frontiere culturali, etniche e religiose” ne costituisce l’ethos fondativo. In questa prospettiva di identità religiosa che non respinge contaminazione e mescolanza, ben si comprende come la quarta mossa con cui Fouad Allam propone di dare scacco al terrorismo suicida sia il “lavoro della memoria”, un lavoro politico, teologico e filosofico nel quale le ragioni delle vittime e il peso della violenza siano superati da una concezione più dialogica della verità.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Khaled Fouad Allam

    Docente di Storia e istituzioni dei paesi islamici - Università di Trieste

Anno pubblicazione 2004
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Milano
Pagine 95
Editore