Roberta De Monticelli, erede della tradizione fenomenologica, si assume in questo libro il compito di mostrare l’inadeguatezza dei tre approcci più diffusi alla sfera del sentire (classico, psicoanalitico, neurofisiologico) e di porre così le basi di una personologia, ovvero di una «teoria della realtà di ciò che noi siamo». Che lo si releghi all’ambito di ciò che è puramente soggettivo e incapace di fondare giudizi veri (Cartesio) o che gli si attribuisca la sola funzione di indicare ciò che è utile alla conservazione dell’organismo; che lo si riduca ad una delle due dimensioni della vita affettiva, quella pulsionale o del tendere (Freud); che ne si ricerchi il fondamento neurobiologico, mostrando come l’intera classe degli affetti si risolva nei meccanismi di funzionamento del supporto cerebrale: tutti e tre questi approcci evitano di porsi la questione essenziale, che cos’è il sentire e a quale realtà esso ci consente di avere accesso? Per il fenomenologo il sentire è «il modo di presenza o datità delle più svariate qualità assiologiche, o di valore» delle cose: ciò che in esso viene alla luce non è irrazionale o arbitrario, ma la realtà personale stessa, ovvero l’identità della persona (propria o altrui). Agli occhi del fenomenologo si impone con tutta evidenza una prima distinzione tra la sfera degli atti egologici – nei quali io mi sento più o meno implicato, rispettivamente come soggetto-a (affetti) e come soggetto-di (volizioni) – e quella degli atti non-egologici (dalla percezione al pensiero) – nella quale vengono a presenza oggetti. Le metafore del «flusso» e del «fascio» non sono adeguate a rappresentare la vita affettiva, che – anziché essere una corrente caotica di contenuti – appare stratificata secondo un ordine verticale di importanza (da ciò che è meno a ciò che è più personale) e strutturata orizzontalmente secondo un ordine temporale e motivazionale. Il regno del sentire si dischiude in tutta la sua ricchezza al fenomenologo, che cerca di mettere a fuoco i tratti eidetici delle affezioni sensoriali (piacere o dolore di parti del mio corpo), dei sensi vitali (il livello della mia energia vitale complessiva), dei sentimenti (l’ordine di priorità assiologiche di una personalità esistente), delle emozioni (alterazioni reattive che si consumano nel presente), delle passioni (le pieghe abituali del volere). Ma in che modo una sensibilità personale può diventare una coscienza morale? Tutti gli ordini del cuore sono ugualmente validi e veri. Ma qual è la base non negoziabile con la quale gli ethoi individuali devono essere necessariamente compatibili per perseguire un bene, qualunque esso sia? Tale base è da ricercare nel rispetto, ossia nel sentimento con cui si prende atto della realtà individuale, della «profondità o trascendenza propria delle persone».