L’aperto. L’uomo e l’animale


Una fonte iconografica biblica, raffigurante sotto sembianze animali i commensali al banchetto dei giusti nell’ultimo giorno, introduce ad una genealogia del concetto di vita, che Agamben lascia emergere dalla disgiunzione fra l’uomo e l’animale. L’argomentazione si svolge su tre livelli fondamentali. Con il primo si chiarisce la radicalità del problema filosofico. Se, fin dal XVII secolo, lo Stato esercita il suo potere come biopotere, intervenendo capillarmente sulla sfera dei bisogni vitali della popolazione, la prospettiva generale entro cui riflettere sull’animalità dell’uomo è necessariamente politica. Perciò “chiedersi in che modo – nell’uomo – l’uomo è stato separato dal non-uomo e l’animale dall’umano, è più urgente che prendere posizione sulle grandi questioni, sui cosiddetti valori e diritti umani” (p. 24). L’antropogenesi è il risultato di una cesura con l’animale che passa all’interno dell’uomo. Se riferita al moderno, essa è il “motore” grazie al quale l’umanità definisce storicamente i suoi compiti e le sue destinazioni. Nella poststoria, l’ultimo e impolitico mandato dell’umanità sembra essere la gestione integrale della propria animalità, della sua vita biologica. La seconda fase del volume riguarda la critica dell’antropologia, la cui genesi si spiega in corrispondenza del compito metafisico di riconciliare il logos con il corpo. Nella “macchina antropologica” l’articolazione della cesura fra vita animale e umana si sovrappone alla ricerca del “rango”, della posizione occupata dall’uomo nel regno naturale. Ma il risultato non può che essere un “non-luogo”, poiché il continuo ridefinire la cesura fra uomo e non-uomo si consuma in uno spazio di eccezione. Il vuoto implica la definizione dell’altro, ora attraverso un isolamento del non-uomo all’interno dell’uomo, ora attraverso l’inclusione dei caratteri animali nell’uomo. Nel primo caso, si spiega l’homo alaus dei moderni, nel secondo lo schiavo, il barbaro degli antichi. Nella terza fase Agamben suggerisce, con Heidegger, che è possibile individuare “in positivo” un atteggiamento teorico che coglie “il divenire umano del vivente” in prossimità con l’alterità animale. La “povertà di mondo” caratterizza l’ambiente dell’animale, il quale nello “stordimento” vive un’esposizione all’aperto. La “noia profonda” è quello stato d’animo, quello “scuotimento essenziale” “in cui l’apertura umana in un mondo e quella animale al disinibitore sembrano per un attimo toccarsi” (p. 65). Diviene così effettivo il distanziamento dalla “macchina antropologica”, per la quale i caratteri dell’umanità, già presupposti, vengono sottratti nella definizione dell’altro.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2002
Recensito da
Anno recensione 2003
Comune Torino
Pagine 99
Editore