In questo volume l’autore constata che l’FMI e la Banca mondiale sono venuti meno ai loro principi fondatori e agiscono secondo un’unica ideologia qui definita “fondamentalismo del mercato”. Nato dall’esigenza di correggere il cattivo funzionamento del mercato, il Fondo Monetario Internazionale sostiene ora con fervore ideologico la supremazia del mercato; costruito sul convincimento che occorre esercitare una pressione internazionale affinché gli stati adottino politiche economiche espansive, oggi esso tende a fornire fondi soltanto a chi garantisce politiche restrittive, che hanno però conseguenze pesanti sul piano occupazionale. La buona economia e la buona politica non vengono tenute in grande considerazione: nell’agenda delle priorità non vi è la creazione di posti di lavoro, né la ridistribuzione delle risorse o la difesa dei sistemi scolastico e sanitario, ma solamente la eliminazione di interventi da parte dei governi. Le condizioni tipiche degli accordi con cui vengono erogati i fondi evidenziano la mancanza di fiducia tra l’FMI e i riceventi, riproducendo una mentalità colonialista. Seguendo una visione troppo ristretta – abbattere l’inflazione, ridurre le tasse e l’intervento pubblico – le politiche dell’FMI hanno contribuito in maniera determinante ai dissesti economici che negli anni novanta hanno colpito i paesi asiatici, la Russia e l’America Latina. Non si è voluto capire che lo sviluppo economico richiede una trasformazione della società; che non prendendo in considerazione gli effetti sistemici delle politiche consigliate, le economie in difficoltà avrebbero visto aumentare la loro fragilità. Uno sviluppo veramente riuscito è quello che si preoccupa della stabilità sociale: da parte delle istituzioni internazionali è necessaria un’azione globale, perché l’instabilità di un paese ha un “effetto domino” sugli altri paesi. L’analisi critica di Stiglitz non è però indirizzata contro la globalizzazione in quanto tale, ma contro la sua gestione: troppe volte le istituzioni economiche hanno affrontato la globalizzazione con una visione troppo limitata, considerando acquisite posizioni dottrinali e “raccomandazioni” che sono state decise senza un dibattito pubblico. Si è creata una governance globale senza un governo globale, senza conoscere in profondità i problemi dei paesi nei quali applicare le ricette economiche e sostituendo i gruppi dirigenti con la nuova dittatura della finanza internazionale. Le strategie alternative esistono, conclude Stiglitz, e si richiamano non soltanto al mercato, ma attribuiscono un ruolo importante al governo locale, riconoscendo che le riforme strutturali devono essere introdotte secondo tempi e sequenze precise.