La lotta tra totalitarismo e democrazia che ha segnato il Novecento ha provocato milioni di vittime la cui memoria non è andata dispersa anche per merito di uomni e donne (Primo Levi, Vassilij Grossman, Margarete Buber-Neumann, David Rousset, Romain Gary, Germaine Tillion) accomunati da quello che Todorov chiama umanesimo critico. Contrapponendo la loro vicenda umana e intellettuale all’analisi delle caratteristiche del nazismo e del comunismo, viene sottolineata la necessità di capire per giudicare, di operare una sistemazione dei fatti e di costruirne il senso: ciò deve valere non soltanto per i totalitarismi della prima metà del secolo scorso, ma anche per fatti più recenti. Todorov afferma che il lavoro di memoria obbedisce all’esigenza di essere utile per il presente e può educare soltanto se ci pone personalmente in causa mostrando che noi stessi non siamo sempre stati l’incarnazione del bene. Per questo motivo egli dedica particolare attenzione alla figura di Margarete Buber-Neumann (sopravvissuta sia alla prigionia nazista che a quella comunista) in forza della sua capacità di distinguere le categorie ideologiche e sociologiche dei regimi che ha incontrato, non dimenticando che le idee si incarnano in esseri umani concreti. Dall’analisi del male estremo conosciuto nel XX secolo, Todorov trae la lezione che occorre evitare due rischi, la sacralizzazione e la banalizzazione del ricordo. Infatti da un lato la sacralizzazione, il culto della memoria, la tentazione del bene (cioè percepire se stessi come depositari del bene) hanno come conseguenza la pretesa di mettere da parte il ricordo e di colpire con l’anatema i tentativi di comprensione; dall’altro la banalizzazione del ricordo provoca il travestimento del passato e il disconoscimento del presente. Anche le democrazie infatti possono compiere il male in nome del bene, con l’aiuto delle loro pratiche scientifiche, con la costruzione di armi sempre più micidiali e intelligenti. L’umanesimo moderno si distingue per il riconoscimento dell’orrore di cui sono capaci gli esseri umani e l’affermazione della possibilità del bene, un bene che conduce a considerare l’uomo, nella sua identità concreta, come fine ultimo della propria azione. Tre derive minacciano attualmente il corso della vita democratica: la deriva identitaria (quando la fedeltà all’identità collettiva vince sui valori democratici), la deriva moralizzatrice (la tentazione di essere espressione unica del bene) e la deriva strumentale (la pretesa di trovare una soluzione puramente tecnica a tutti i problemi della modernità).