La stimolante rilettura del processo di Gesù fatta da Zagrebelski, professore di Diritto costituzionale all’Università di Torino, ci conduce al cuore di una questione vivacemente dibattuta in questi tempi: chi sono i veri amici della democrazia? Quali sono i suoi limiti e per quale motivo i partiti politici sono ancora un elemento indispensabile della democrazia? L’autore prende le mosse da un saggio di Hansen Kelsen, La democrazia (Il Mulino 1981), per definire Pilato un non democratico e Gesù il vero amico della democrazia. Bisogna distinguere tra la democrazia critica e quella acritica, che a sua volta si divide in dogmatica (incarnata dai Sacerdoti del Tempio) e scettica (la posizione di Pilato). La democrazia acritica è quella che considera il popolo come un’arma di cui servirsi a seconda dei bisogni, che demanda tutto alla responsabilità di altri, che porta alla scomparsa della pluralità delle voci e forma un’indistinta maggioranza silenziosa. La democrazia critica, al contrario, è quella in cui il popolo diventa soggetto politico pluriforme, in cui vi è una continua aspirazione al meglio e un’apertura alla “libertà timorosa di chi si considera sempre ai primi passi”. Queste due concezioni si stanno confrontando proprio in questi tempi nel nostro paese. Da un lato con un ricorso sistematico ai sondaggi, con la divinizzazione della folla (vox populi, vox dei) e del responso popolare; dall’altro con la richiesta di una difesa delle istituzioni e dei partiti che, se tolgono qualcosa alla spontaneità soggettiva, riescono a indirizzare le energie individuali in una prospettiva costruttiva. La democrazia dei sondaggi (Barabba o Gesù) non serve a sviluppare la maturità di un popolo, ma è il modo per fare uscire allo scoperto una forza bruta: “dare voce immediata in politica a umori prepolitici, superando ogni istanza intermedia organizzata, è il segno dell’adulazione del popolo per tenerlo in una condizione minorile infantile e per poterlo meglio controllare2 (pag. 115). Il confronto tra le due concezioni della democrazia conduce a un altro tema, in apparenza lontano, quello del tempo. Infatti la democrazia critica richiede tempo, tempo per decidere e tempo per durare; è amica della lentezza, della ponderazione e della riflessione, perché dove non c’è tempo, scrive Zagrebelski, “c’è emotività, instabilità, suggestionabilità e quindi strumentalizzabilità. Il popolo senza tempo da luogo a una democrazia della massa indistinta e perciò totalitaria” (pag. 118). Invece un popolo non schiavo del tempo, non costretto a vivere in “tempo reale”, è un popolo che esprime mitezza, che deve essere la virtù suprema della democrazia e che è una delle virtù principali incarnate da Gesù.