Il libro di Alain Herscovici (adattamento della sua tesi di dottorato, discussa nel 1992), intende applicare i modelli della razionalità economica ai temi della cultura e della comunicazione. Non si tratta però di una semplice traduzione in termini economici dei fenomeni culturali, ma, sulla base di un impianto teorico di tipo francofortese, di un tentativo di fondare su base materialista i rapporti tra fenomeni economici e culturali. Innanzitutto nell’opera è presente una critica serrata sia dell’analisi neoclassica che delle teorie del Welfare nella loro applicazione al mondo della cultura e della comunicazione. A questo proposito Herscovici mostra l’esistenza di modalità razionali dell’agire che sfuggono ad una determinazione univocamente economica: sono quelle che chiama “macro e microrazionalità della cultura”, rifacendosi alle teorie di Lévi-Strauss e Bourdieu. La definizione di identità culturale che emerge è quella di una “costruzione ideologica che si traduce, obiettivamente, in una gerarchia di pratiche culturali, dunque in un sistema referenziale. Ogni spazio culturale genera il proprio sistema di referenti” (p.57). L’analisi si sposta quindi sulle dinamiche del mercato culturale, visto nelle sue componenti “fordiste”, in cui prevale l’aspetto della serialità a detrimento della componente creativa. Il quadro così delineato si completa attraverso la definizione del ruolo dello Stato nel condizionamento del mercato culturale. A questo riguardo l’autore passa al vaglio della critica la stessa distinzione tra beni collettivi e beni privati, il concetto di “tutela” e di “beni culturali”, per cercare di delineare le specificità che costituiscono i prodotti culturali e che ne consentono una trattazione sganciata dal tradizionale quadro dell’intervento statale. Il volume mira infine a tracciare dei lineamenti delle attività culturali nel tardo capitalismo, riprendendo un tema caro ad una certa parte degli economisti: la riscoperta dell’attualità del valore d’uso. L’influenza della tecnologia e delle immagini mediatiche sulla logica di differenziazione dei prodotti e la serialità hanno ridato vita al concetto di un valore d’uso portatore di soggettività, e tutto questo ha rimesso in discussione la gestione complessiva delle politiche culturali e dei media. La stessa problematica della diversità culturale è posta in questione: “uno dei rischi di questa Cultura strumentalizzata, tecnologica e mondializzata, è che essa si riveli incapace di conservare questa diversità e di preservare, al tempo stesso, la dinamica evolutiva delle diverse società” (p.242).