L’autore è riuscito a condensare in poche decine di pagine l’analisi dei maggiori studiosi e critici della società e dell”economia capitalistica (Keynes, Schumpeter, Ricardo, Marx), constatando che le ricette attualmente applicate non riescono a garantire la “libertà dal bisogno di lavorare”. Siamo anzi in una fase caratterizzata da “spreco di merci e penuria di lavoro”. Rispetto alle tesi degli autori analizzati, Lunghini rileva che le prospettive di lungo periodo sono diventate irrilevanti, in quanto gli orizzonti temporali del capitale e della politica si sono accorciati, e che la disoccupazione è un elemento strutturale della società e del capitalismo (da cui non si può uscire). Pertanto, come ha avvertito Keynes, “siamo in uno di quei momenti in cui si può essere salvati soltanto dalla soluzione di un problema intellettuale”. La disoccupazione in un mondo pieno di bisogni richiede urgenti soluzioni che non si limitino a garantire un reddito di cittadinanza – che non risolve la questione dell’autonomia dei non occupati – e una riduzione dell’orario di lavoro – che deve essere praticata su scala planetaria se vuole essere efficace – o una crociata a favore dell’austerità, termine molto usato negli anni 70. A differenza di allora questa parola deve assumere il valore di ”sobrietà”: non “un’esortazione moralistica o una critica del consumismo”, bensì una serie di stimoli volti a un ripensamento della scala dei consumi e della mentalità individuale; non l’uscita dal capitalismo ma un “maggior investimento in quella terra di nessuno in cui attualmente agiscono soltanto attori fuori mercato” (il volontariato, l”associazionismo no-profit). L’autore propone allora un freno alla crescita dei bisogni “relativi”, quelli di status che ci fanno sentire superiori agli altri, e di favorire lo sviluppo dei prodotti pensati per l’uso, in contrapposizione a quelli pensati soltanto per lo scambio e il profitto. Promuovere lavori concreti, anziché quelli astratti impiegati nella produzione di merci, e socialmente utili significa andare nella direzione della democrazia economica, che non è la rituale richiesta di partecipazione alle decisioni delle imprese, ma la distribuzione di beni e servizi che il mercato non può offrire. Tra questi vi sono i bisogni “assoluti” quali la cura delle persone e la tutela dell’ambiente, che sono ad alto contenuto di lavoro, sono territorialmente ben visibili e agiscono sul piano della giustizia e con criteri di efficacia. Dovrebbero essere queste, per Lunghini, le coordinate lungo le quali si dovrebbe muovere la politica intesa come “critica, indirizzo e governo economico-sociale di produzione e riproduzione”.