Al centro dell’analisi condotta dall’autrice (che insegna Storia dell’Europa all’Università di Bologna) vi è lo studio del ruolo che le scienze sociali hanno avuto nelle diverse fasi di sviluppo della democrazia francese, grazie ad un processo che ha reso queste discipline dei ‘saperi sociali’ e che presenta notevoli somiglianze con quanto avvenuto negli U.S.A. Viene altresì ricostruito il processo attraverso il quale gli intellettuali-esperti hanno cercato di aggirare i vincoli del sistema giuridico-istituzionale per contribuire allo sviluppo di una democrazia industriale avanzata. L’esempio francese è reso interessante dal fatto che non si era formato, in Francia, un tessuto istituzionale in grado di favorire l’affermarsi dell’autorità degli esperti al di fuori degli apparati istituzionali dello Stato dai quali dipendeva la legittimazione dell’expertise: mentre il modello americano del processo di istituzionalizzazione si è fondato sulla differenziazione (facente capo a una rete di associazioni professionali), quello francese si è fondato su strategie centralizzatrici. Dalla fine dell’Ottocento lo stato francese dovette secernere un tessuto associativo che la società non era in grado di produrre autonomamente, ma al tempo stesso fu spinto a frenare le energie così suscitate. L’eccessiva debolezza dei governi favorì l’azione volontaristica di una generazione di esperti, in particolare nelle discussioni sull’attuazione di una legislazione sociale. Ciò che permise il formarsi di un terreno adatto all’autorità tecnica fu il convergere di spinte pluralistiche e differenziate all’interno di una logica dell’azione collettiva condivisa da diversi agenti sociali. In particolare ciò avvenne nei momenti di maggiore universalità dell’autorità dei tecnici (come nelle guerre): questa convergenza cercò di modificare un assetto amministrativo e costituzionale che si configurava in modo antagonistico rispetto alla logica organizzativa. La crescita in forma organizzata dell’apparato amministrativo dell’economia non fu il prodotto spontaneo dell’espansione statalistica, ma fu dovuta al costituirsi di un “laboratorio sociale” in cui confluirono rappresentanti di diverse strutture, associative ed istituzionali. La creazione del CNE (Conseil National Economique) nel 1925 rappresentò appunto la ricerca di un punto di intersezione tra il riformismo sociale e la modernizzazione istituzionale, tra la componente corporativo-tecnocratica e quella sindacalista-collettivista. Solo nel secondo dopoguerra si ebbe la definitiva legittimazione del ruolo di un’élite che si erigeva a guida della società e svolgeva la funzione di dare nuovo vigore all’azione dello stato come costruttore di una democrazia industriale.