Questo libro, scritto con uno stile asciutto, pieno di brevi e pregnanti affermazioni, non può che provocare disagio. Da un lato perché non viene dimenticata nessuna delle manifestazioni della violenza (facendo anche ricorso a descrizioni molto crude), dall”altro perché l”autore non manifesta dubbi sul carattere irrimediabilmente violento dell”evoluzione dell”uomo. Sofsky, che insegna Sociologia all”Università di Gottinga, afferma senza esitazioni e ripetutamente che gli uomini sono al centro di un infinito progresso della violenza e che la cultura non è un territorio favorevole alla dissoluzione dei conflitti, bensì un luogo di rinuncia e di autopunizione da cui discende un enorme accumulo di fatica e di lavoro, di paure e di dolori (aggiungendo che le guerre più sanguinose sono state condotte in nome dei valori supremi della vita). Oltre a questo aspetto la cultura (che comporterebbe un continuo sforzo, vano, per superare la morte) ha propagato il sogno dell”immortalità, in nome della quale religioni e ideologie hanno imposto un tributo intollerabile fatto di guerre, schiavitù, distruzione dei nemici e dei diversi. Nella ricerca dell”immortalità l”uomo arriva ad adorare le proprie armi, dando loro anche un nome proprio, nella convinzione che esse gli permettono di essere più di ciò che è. Non è un caso dunque che nella produzione di armi vengano riversate le migliori energie intellettuali e che quanto più è sviluppata la cultura materiale di una società, tanto più efficace diventa la violenza sviluppata dalle armi. La stessa ricerca dell”ordine all”interno degli stati è stata corredata da una divisione tra il “normale” e l””anormale” che, attraverso la costituzione degli apparati polizieschi e legislativi, ha spesso cercato di annientare ogni forma di diversità e ha creato le figure del suddito, del diverso e della vittima. L”espressione della violenza ha sempre esercitato una forte attrazione sulla “maggioranza silenziosa”, che accorre sui luoghi in cui avvengono violenze per vedere l”azione del “potere” che le compie, non per condividere le sofferenze di chi le subisce. Per questo la folla accorre e partecipa alle distruzioni di monumenti, ai roghi dei libri: in quelle azioni c”è l”abolizione del tempo, c”è la lotta contro la storia che si è cristallizzata nelle pagine e nelle effigi, c”è l”espressione della libertà assoluta del potere. La conclusione di Sofsky non potrebbe essere più amara: “l”affermazione di vivere in un”età di progresso dei costumi è indice di cecità storica e appartiene alla mitologia della civiltà moderna”.