Si tratta del centesimo numero della benemerita “Biblioteca di teologia contemporanea” (BTC), ormai storica collana Queriniana, cui si deve in buona parte la sprovincializzazione del sapere teologico in Italia. Forse non è casuale che tale ricorrenza venga celebrata dall’ultimo lavoro di J.B. Metz, riallacciandosi simbolicamente al volume iniziale della serie, uscito nel lontano 1969 a firma dello stesso intellettuale tedesco col titolo di Sulla teologia del mondo, un libro assai fortunato che era destinato ad avere vasta eco nel mondo culturale non solo europeo, e ad aprire il varco nella cosiddetta “teologia politica” moderna. Con questo e col successivo La fede, nella storia e nella società (comparso nel ’78), il testo attuale costituisce una vera e propria trilogia. L’obiettivo che si propone è di chiarire ulteriormente quale sia l’autentica essenza della teologia politica. E Metz, qui, resta fedele al suo antico maestro Karl Rahner, prendendo invece le distanze da Carl Schmitt e dalla sua teoria dello stato, per ribadire che la sua è e intende essere teologia in senso proprio; con uno sguardo unico sul mondo e su Dio. Per cogliere filo rosso del suo itinerario di pensiero, forse la cosa migliore è ricorrere all’ultimo saggio del volume, senz’altro il più personale, che riporta un discorso pronunciato a Tubingen nel ’96, nel quale l’autore prende le mosse dalla propria tremenda esperienza del secondo conflitto mondiale, per narrare la stagione del dialogo fra cristiani e marxisti, il Concilio Vaticano II, il progressivo allontanamento dal monocentrismo europeo e la collaborazione coi teologi latino-americani, fino alla “scoperta” della centralità di Auschwitz nella storia di questo secolo. La chiave di lettura, una volta di più, risulta qui la “memoria passionis”, il ricordo della sofferenza altrui quale categoria base del discorso cristiano su Dio: un problema, quello del “grido muto”, che non viene semplicemente messo a tacere ed eliminato dal messaggio evangelico della redenzione. Non è un caso, perciò, che Sul concetto della nuova teologia politica contenga più di una riflessione sulla Shoàh, tanto più significativa oggi che sembra trionfare una vera e propria amnesia culturale. Ecco dunque la necessità di operare a favore di una “cultura anamnestica”, vale a dire dell’arte, della letteratura, del cinema dedicate a guardare lo scenario storico con gli occhi delle sue vittime: e che, sole, sono in grado di trasmettere “a noi innamorati dell’oblio, il dolore della memoria”.