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Il termine “nuovo” può concernere un aspetto del contesto tecnologico in cui ci troviamo attualmente a vivere. Può esprimere cioè l’ambizione di ottenere un pieno controllo sui processi che le tecnologie sono in grado di attivare e sulle loro conseguenze. Ciò risulta davvero nuovo, nella misura in cui il potere di tali processi è enormemente più ampio di quanto non fosse quello che veniva esercitato in passato grazie all’uso di specifici dispositivi. La novità, anzi, è qui di ordine sia quantitativo che qualitativo. Quantitativo: nella misura in cui la potenza oggi messa in campo, ad esempio dalle armi di distruzione di massa, non è neppure paragonabile a quella dei precedenti apparati. Qualitativo: perché, nel contesto attuale, tale potere finisce per rivolgersi anche contro se stesso, per retroagire su di sé, e dunque per amplificare a dismisura la propria azione o, al contrario, per distruggersi proprio mentre distrugge il proprio obiettivo. Pensiamo, ancora una volta, all’uso delle armi atomiche. È a questo punto che emerge il problema della responsabilità. Si tratta di una responsabilità che si configura a vari livelli: individuale, collettivo, riguardante gli specialisti e gli operatori di uno specifico settore, concernente tutti noi in quanto possibili fruitori di determinate tecnologie. È proprio questa responsabilità così articolata che dovremo approfondire. Fin d’ora, però, dobbiamo mettere in luce il paradosso che sta sullo sfondo di tale ambizione di controllo che anima le nuove tecnologie. Lo sperimentiamo tutti: quanto più il potenziale tecnologico cresce, attraverso la messa in opera di determinati processi e la convinzione di poterli sempre regolamentare, tanto meno esso può venir davvero governato, sia a livello individuale che collettivo. L’atteggiamento umano, nei confronti delle nuove tecnologie, assomiglia più a quello dell’apprendista stregone che a quello di una divinità creatrice. Vi è, in altre parole, una sorta di “eterogenesi dei fini” nel modo in cui l’agire tecnologico, oggi, raggiunge i suoi scopi. In sintesi potremmo dire che le nuove tecnologie cercano di rendere possibile all’essere umano una previsione quanto più accurata e un controllo quanto più esteso dei processi che esse mettono in opera. Ritornano qui, fra loro intrecciati, l’aspetto teorico e quello pratico da cui sono caratterizzate. Per guadagnare però questa capacità di previsione siamo anche disposti ad abdicare alla nostra iniziativa, ad accettare una sorta di “dittatura della procedura”, a pensare noi stessi, addirittura, in funzione di comportamenti standard ai quali siamo disposti a uniformarci. Ma tutto questo, invece di garantire un risultato di stabilità, comporta il paradosso di una crescente perdita del controllo riguardo alle conseguenze delle nostre azioni e di un effettivo incremento dell’alea nel mondo in cui viviamo. Ecco dunque l’ultimo elemento di novità che caratterizza le “nuove tecnologie” e il nostro rapporto con esse. Si tratta di una questione che concerne un duplice livello dell’agire; quello messo in opera dai dispositivi tecnologici e quello che riguarda gli esseri umani, posti in rapporto con tali dispositivi. La non coincidenza fra i due livelli di azione – che nell’ambito del sapere tecnico era comunque garantita e su cui lo scienziato, attraverso l’elaborazione delle sue teorie, era chiamato a esercitare la sua opera di previsione e di controllo – comporta una serie di problemi precedentemente inediti. Essi costituiscono lo sfondo che ha favorito, nella seconda metà del Novecento, la nascita delle cosiddette “etiche applicate” o “etiche speciali”.
(da A. Fabris, Etica delle nuove tecnologie, Brescia, La Scuola, 2012, pp. 41-43)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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