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Che cosa significa prendere sul serio la tesi che un bambino è un attore sociale? Il bambino come attore sociale è in grado di agire in modo autonomo e competente: non è più primariamente considerato come un fruitore di apprendimento e un assimilatore di norme, bensì come un costruttore di prospettive proprie. Le conseguenze di questa impostazione sono evidenti se si osserva la comunicazione tra adulti e bambini. Secondo un modello educativo, la partecipazione fondamentale e necessaria del bambino consiste nell’esperienza dell’azione formativa di un adulto: il bambino può certamente agire, ma la sua azione è subordinata o subordinabile all’azione formativa, deve anzitutto dimostrare l’apprendimento e quindi essere valutabile per verificarlo. Il bambino comprende il senso dell’azione dell’adulto (e l’informazione che viene così emessa) e fa seguire un’azione che dimostra apprendimento, valutata dall’adulto. Sebbene questo schema sia semplificato e le metodologie didattiche possano comportare versioni molto più articolate del processo, il senso della comunicazione educativa è questo.
Se si prende sul serio la partecipazione del bambino come attore sociale, lo schema di base cambia radicalmente: l’azione dell’adulto non mira a formare l’esperienza del bambino, bensì sollecita una sua azione, che non ha valore in quanto dimostrativa di apprendimento, bensì per i significati che esprime in se stessa. La sequenza non inizia dunque necessariamente con un’azione dell’adulto compresa dal bambino, ma può anche iniziare con il bambino che agisce. Inoltre, anche laddove l’azione sia avviata dall’adulto, al bambino non si richiede di adattarsi alle aspettative normative, bensì di esprimere il proprio punto di vista, senza riguardo per la differenza tra lato positivo e lato negativo prefissata dai criteri di valutazione.
Questo secondo schema, anch’esso semplificato, riproduce una nuova forma di comunicazione tra adulti e bambini, che, date le sue caratteristiche, non è definibile come una variante dell’educazione, ma come promozione della partecipazione sociale. Il concetto di “partecipazione sociale” riflette la rilevanza assegnata ai bambini come attori sociali: significa infatti (1) attribuzione di rilevanza all’azione del bambino e (2) visibilità sociale delle scelte che sono alla base di tale azione. Il concetto di promozione segnala la rilevanza dell’autonomia attribuita all’azione dei bambini come attori sociali: promuovere significa fissare dei vincoli esterni rispetto all’azione, senza cercare di determinarne o modificarne gli orientamenti o le caratteristiche. La promozione della partecipazione sociale costituisce una forma di comunicazione con i bambini che ne riconosce sia l’importanza dell’azione, sia l’autonomia di scelta dell’azione stessa, e che rende azione e scelta visibili in processi sociali significativi. Tali processi possono essere significativi in quanto acquisiscono una visibilità nella società complessiva, oppure in quanto sono considerati in se stessi rilevanti per la produzione della cultura della società.
La promozione della partecipazione sociale non è educazione perché non fonda la comunicazione sul primato delle aspettative cognitive (dell’apprendimento) e delle aspettative normative (della valutazione). L’obiettivo non è il cambiamento dei bambini (la loro formazione), ma l’auto-espressione che evidenzia l’autonomia di scelta: anziché di formare i bambini, cambiandoli per mezzo dell’apprendimento, un approccio promozionale si preoccupa di sostenerne l’auto-espressione autonoma. Per sostenere scelte autonome, è poi necessario rinunciare a fissare orientamenti di valore predefiniti, che necessariamente le vincolano: quindi, è necessario rinunciare a valutazioni per privilegiare apprezzamenti incondizionati.
(da C. Baraldi, La promozione della partecipazione sociale: un orizzonte futuro per il sistema educativo, in «Infanzia e società», II, 2006, pp. 343-359)
1) che l’insegnamento ha a che fare con la formazione ancor prima che con l’informazione;
2) che l’insegnante non è l’accertatore fiscale del sapere acquisito dello studente;
3) che il sapere non è interpretabile in termini prevalentemente quantitativi;
4) che l’apprendimento implica in colui che apprende la capacità di saper modificare l’apprendimento stesso;
5) che per avere questa capacità, è necessario acquisire senso critico e autonomia individuale.(da A.M. Iacono e S. Viti, a cura di, Per mari aperti. Viaggi tra filosofia e poesia nelle scuole elementari, Roma, Manifestolibri, 2003, pp. 9-10)*
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