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Nel nostro caso non siamo di fronte solo a una evoluzione lineare e progressiva, ma anche a una precisa innovazione, che altera il quadro in modo decisivo. Mi riferisco alla nascita, in questi ultimi decenni, di quelle che vorrei definire le tecnoscienze umane, vale a dire una famiglia di discipline e programmi di ricerca che, pur mantenendo la stretta correlazione tra scienza e tecnica tipica delle scienze naturali – pur spingendo anzi questa correlazione a un livello qualitativo persino più alto che in passato – si rivolgono sistematicamente a un oggetto riservato un tempo alle sole scienze umane e che, anzi, di queste scienze costituiva in fondo la vera e propria base, e cioè l’insieme delle facoltà specifiche che definiscono l’umanità dell’uomo.
Per il momento limitiamoci a osservare che, pur costituendo una pluralità di discipline autonome, le nuove scienze possono venir raccolte, almeno in linea di principio, intorno a due polarità di base, che rispecchiano la definizione tradizionale dell’uomo come «animale razionale». Abbiamo cioè da un lato un’ingegneria biologica che ha per oggetto l’insieme delle facoltà dell’uomo in quanto «animale» (in quanto cioè vivente della specie homo sapiens); dall’altro un’ingegneria cognitiva rivolta a tutte le articolazioni della «razionalità», a cominciare dalle facoltà del pensiero e del linguaggio.
Chiariamo subito che questa bipartizione ha un valore relativo, non solo per il generico motivo che si tratta, ovviamente, di una semplificazione schematica con una finalità puramente descrittiva. Un motivo più essenziale è che, come vedremo, i problemi più interessanti e le ricerche più avanzate si situano in realtà esattamente al centro della dicotomia, in un punto d’intersezione tra biologia e scienze cognitive, e questo non per caso. La tendenza più naturale e più ambiziosa di queste discipline è infatti proprio quella di superare la dicotomia tra una scienza del vivente e una scienza del pensiero, mettendo infine a tema l’unità della natura umana – il che, sia detto per inciso, era in parte anche il progetto filosofico da cui nasceva quell’antica definizione dell’uomo nella sua forma greca originaria, segnatamente in Aristotele.
Precisiamo inoltre che la terminologia proposta, per quanto forse anomala, non è una invenzione arbitraria. L’espressione «ingegneria biologica» viene ormai correntemente usata in opposizione a «ingegneria genetica» per indicare le ricerche di biologia molecolare che non si rivolgono esclusivamente al genoma ma anche, per esempio, alla formazione e alla funzione delle singole proteine. Qui la useremo in forma ancora più ampia, per indicare in genere le ricerche che, in campo biologico, mirano a una comprensione delle specifiche facoltà dell’uomo (compresa quindi, per esempio, la neurobiologia). «Ingegneria della conoscenza» è invece un’espressione di Edward Feigenbaum e definisce ormai correntemente, nel campo dell’Intelligenza Artificiale, la progettazione di sistemi esperti. Fondendola con l’espressione ormai comune di «scienza cognitiva», qui la useremo per indicare in genere gli studi sui processi intellettivi e computazionali cui si suppone possa essere ricondotta la razionalità umana. Infine, l’aspetto più significativo delle due denominazioni sta nella scelta del termine «ingegneria», che risponde a un principio metodologico centrale in queste discipline: che cioè conoscere veramente qualcosa vuol dire essere in grado di riprodurla tecnicamente. È la centralità di tale assunto che giustifica, almeno in prima istanza, l’uso del termine «tecnoscienze».
(da M. De Carolis, La vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 20-21)*
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