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Non può sfuggire che, in senso generale, la fase storica in cui la Chiesa ha goduto nella società italiana delle migliori condizioni di vita e delle più ampie garanzie politiche e istituzionali, ha coinciso con una tendenziale e progressiva accelerazione dei processi di secolarizzazione della società italiana. Anche assumendo l’accezione più “debole” di nazione cattolica, facendo cioè riferimento alla permanenza di fili molteplici connettenti l’ethos profondo della nazione alla religione cattolica (in relazione, per esempio, al primato della famiglia come cellula sociale) molti indizi vennero a segnalare che quei fili si stavano allentando o spezzando. Per gli animi più sensibili ai paradossi del messaggio evangelico, un fenomeno di questa natura poteva persino inquadrarsi in un ordine provvidenziale e non giungeva inatteso: dal loro punto di vista i giorni della potenza, o dell’onnipotenza, non erano i più propizi per la fede cristiana. In prospettiva storica, non si può non constatare che quel perno mobile tra Chiesa e Stato, rappresentato dalla nazione cattolica, aveva comunque subito un’erosione profonda, che modificava la qualità e la tipologia dei loro rapporti. È da considerare, in proposito, quanto l’immagine dell’Italia nazione cattolica e del popolo italiano come gens catholica per antonomasia avesse pesato nel dare forma e sostanza ai progetti di edificazione di una “nuova cristianità”, che, pur formulati nei loro tratti essenziali prima e durante la guerra e declinati anche in modi assai divergenti, costituirono il denominatore comune, per non dire il quadro di riferimento, del cattolicesimo italiano nel dopoguerra. Per molti versi lo stesso approdo alla democrazia repubblicana era stato guidato, condizionato e giustificato alla luce di un simile obiettivo, che adombrava, tra l’altro, una terza via o più semplicemente un’alternativa cattolica al comunismo da un lato e al capitalismo di stampo liberale dall’altro. Sebbene i progetti di nuova cristianità, comunque definiti, si collocassero, per definizione, in uno spazio ideale sovranazionale, in nessun altro paese come l’Italia, in nessun’altra area cattolica come quella italiana trovarono un terreno di coltura altrettanto favorevole. Da questo punto di vista la costruzione della nuova cristianità conferiva rinnovato respiro all’idea di nazione cattolica, rappresentandone per certi aspetti l’estrema trasfigurazione. Se ne può cogliere un segno nel fatto che la crisi dell’una coincise con quella dell’altra. […]
Se si accetta come valida o plausibile questa lettura della secolarizzazione italiana, viene però da domandarsi se le sue “anomalie” non siano anche rivelatrici di una situazione di fragilità del cattolicesimo italiano, celata sotto il manto della forza istituzionale, nel fronteggiare, sotto il profilo religioso, l’onda lunga di dinamiche sociali e culturali per quanto travolgenti; e se tale fragilità – dalle origini complesse ma rivelata, in qualche misura, dall’apporto marginale, se non decisamente orientato alla conversazione dello status quo, che la Chiesa italiana, salvo importanti eccezioni, conferì al Concilio Vaticano II – non debba essere anche raccordata alla permanenza di un’immagine precostituita della nazione cattolica, assunta come dato intangibile, quanto scarsamente esplorato nella sua realtà.
Riferimenti Bibliografici
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