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La tecnicizzazione agisce sempre sulle forme di vita nel loro complesso. Anche l’evoluzione sociale che, a suo tempo, ha trasformato una parte degli operai e dei contadini dell’Occidente in tecnici dell’industria e dell’agricoltura (e la rimanente parte, per lo più, in emarginati) ne ha mutato, evidentemente, l’intera forma di vita. La rappresentazione di questo processo limitava però l’intervento tecnico alla sola dimensione produttiva, supponendo che le altre dimensioni – quella etica, esistenziale, biologica ecc. – si adeguassero in modo spontaneo al nuovo assetto strutturale. Come si è appena visto, è dubbio fino a che punto questa rappresentazione rispecchiasse la realtà e fino a che punto contribuisse invece a costruire un modello fittizio, in cui la «società» figura come pseudosoggetto tautologico della propria autoriproduzione. È certo, in ogni caso, che il tipo d’intervento tecnico associato alle tecnoscienze umane non è ormai più raffigurabile in questo schema, perché apertamente rivolto ad aspetti basilari della vita umana, non confinabili nella sfera produttiva a meno di non intendere quest’ultima in un’accezione talmente dilatata da farla coincidere, in pratica, con la vita nel suo insieme. Il caso della medicina performativa, in cui la tecnica interviene direttamente sui processi biologici primari, ci ha già dato un esempio di tale espansione nell’ambito dell’ingegneria biologica. Che però anche nell’ambito cognitivo la tecnicizzazione travalichi senz’altro la dimensione strettamente produttiva, lo illustra forse più di ogni altra cosa la centralità che ha acquisito in questa sfera il modello di prassi per tradizione più lontano dalla produttività, vale a dire il gioco.
(da M. De Carolis, La vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 222-223)*
Riferimenti Bibliografici
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