Lo sguardo occidentale ha spesso sofferto di strabismo: l'umanità dell'altro talora è stata riconosciuta come costitutiva della propria, spesso invece soltanto a condizione che l'altro potesse mostrarsi dentro la gabbia percettiva imposta da quello stesso sguardo.
In questa tendenza del pensiero occidentale è, secondo Alfonso Iacono, all'opera un tentativo di semplificazione, che, se più in generale è costitutivo del modo in cui l'uomo cerca di "comprendere" per orientarsi nel groviglio infinito e indefinito della realtà, contiene in sé il rischio di nascondere l'irriducibilità dell'altro, creando confusioni e incomprensioni quando ad esempio ha come risultato una netta distinzione fra "buoni" e "cattivi", "noi" e "loro". La trappola consiste nel fatto che questa operazione si mostra come ovvia e naturale, si presenta come un fatto oggettivo e talvolta scientifico, là dove è invece un ritaglio del mondo non dichiarato come tale.
La semplificazione può essere operata, ha sottolineato Alfonso Iacono, anche nella percezione del tempo storico, quando ad esempio si è tentato di far coincidere progresso ed evoluzione, mettendo all'opera il pregiudizio secondo cui "il dopo è sempre meglio del prima", per mostrare come la nostra civiltà sia migliore delle precedenti. Le teorie del progresso nel ‘700, come quella di Lafitau, padre del comparativismo moderno, o quella di Turgot con la teoria dei quattro stadi, sono emblematiche da questo punto di vista: esse fecero sì che i selvaggi venissero identificati con i primitivi cioè con gli uomini "dei primi tempi". Questo modo di procedere, che permetteva di giustificare gli interventi per colonizzare i popoli cosiddetti primitivi come atti di civilizzazione, si basava su una sorta di dislocazione temporale, un procedimento che Levi-Strauss ha chiamato "falso evoluzionismo". Anche in questo caso si tratta di un metodo che tende a semplificare, a rendere semplici e trasparenti le relazioni sociali, filtrarle attraverso una determinata struttura visiva, un parziale punto di vista, presentando ciò che si vede come l'unica rappresentazione possibile della realtà.
Si tratta in realtà, secondo Alfonso Iacono, di un pericolo sempre incombente, contro cui occorre lottare: il pericolo di un'umanità che si identifica con una monocultura, che omologa gli uomini e popoli escludendo o eliminando la diversità.