La fine della guerra fredda non ha eliminato la guerra dalle relazioni internazionali, come si sperava, né ha dischiuso quell’orizzonte di stabilità e di sicurezza che avrebbe dovuto essere garantito dalla diffusione su scala planetaria dell’economia di mercato e della democrazia liberale. All’euforia iniziale è subentrato ben presto il disincanto: la guerra non è stata messa al bando, né tantomeno è stata dichiarata una forma obsoleta e superata di risoluzione dei contrasti. Al contrario, il nuovo ordine mondiale è stato segnato da una continua oscillazione tra due estremi: da una parte, l’unilateralismo in materia di politica estera perseguito degli Stati Uniti, usciti vincitori dalla guerra fredda; dall’altra parte, un ordine multipolare, frammentato e non controllabile, in cui proliferano, a livello locale e regionale, nuovi nazionalismi aggressivi e feroci guerre civili. Tale ambiguità di fondo ha aperto la strada a una conflittualità endemica, come hanno dimostrato, pochi anni dopo il crollo del Muro di Berlino, lo scoppio della guerra del Golfo, della guerra nella ex Jugoslavia e delle guerre civili nei paesi africani. Allo scenario delineatosi nel corso degli anni Novanta il nuovo secolo ha apportato due modifiche sostanziali: dopo l’11 settembre 2001 la stabilità internazionale è stata minacciata sia dal terrorismo globale di matrice fondamentalista sia dalle cosiddette «guerre preventive». Questa condizione di perenne precarietà ha pertanto fatto parlare di «istituzionalizzazione della guerra infinita». Non solo: nell’ultimo decennio i conflitti hanno subìto un processo di trasformazione per effetto di un’innovazione tecnologica sempre più impetuosa e sempre più fuori dal controllo degli organismi internazionali: basti, come esempio, l’impiego di armi chimiche e biologiche dall’enorme impatto distruttivo. L’imbarbarimento generale degli scontri va inoltre imputato al fenomeno della «privatizzazione della violenza» provocata dalla crisi della sovranità degli Stati nazionali, tradizionali detentori del monopolio della forza legittima. La maggior parte delle guerre attuali, infatti, non coinvolge più le entità statali o gli eserciti nazionali, ma bande armate e gruppi organizzati, finanziati talvolta dagli stessi governi o più spesso da soggetti esterni il cui interesse è prevalentemente economico. Di fronte a così gravi cambiamenti nell’assetto mondiale, è tornato in primo piano il problema della pace. Nel 1999, all’indomani dell’intervento della Nato in Kosovo, avvenuto senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e soprattutto dopo l’attacco degli Stati Uniti in Iraq nel 2003, i movimenti pacifisti sono tornati a far sentire la propria voce. Anche le organizzazioni non governative, che svolgono attività operative di carattere umanitario e accertano le violazioni dei diritti umani predisponendo interventi specifici, hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel campo delle relazioni internazionali, giungendo talvolta a sostituire Stati e organizzazioni internazionali nell’aiuto alle popolazioni nei teatri di guerra. Tuttavia, è proprio sul piano istituzionale che le richieste da parte della società civile sulla tutela dei diritti umani, sul consolidamento della giustizia internazionale e sul disarmo non hanno trovato finora una risposta adeguata. Da una parte, il diritto internazionale appare spesso inadeguato a rispondere sul breve periodo alle questioni sollevate dalle nuove guerre e dal terrorismo; dall’altra, gli Stati sovrani continuano a condizionare – quando non a manovrare apertamente – le scelte delle organizzazioni internazionali volte alla salvaguardia della pace e della sicurezza.
Con la quattordicesima edizione del seminario di cultura europea «Le frontiere dell’Europa» il Centro Culturale intende proseguire la discussione sul tema «guerra e pace» già avviata con il ciclo di lezioni dell’autunno 2013. Mentre nella prima parte dei lavori è stata data la precedenza, in una prospettiva di lungo periodo, alla discussione dei principali nodi storici e teorici relativi alle diverse concezioni di guerra e pace, in questo seminario viene dato maggiore spazio alle questioni caratteristiche delle società contemporanee e in una prospettiva europea. L’articolo 2 del Trattato di Lisbona assegna all’Unione Europea il compito di «promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli»: per il suo impegno in favore della pacificazione del continente e della difesa della democrazia e dei diritti umani, nel 2012 l’Unione Europea ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Sempre allo scopo di prevenire i conflitti e di rafforzare la sicurezza internazionale, il Trattato stabilisce che gli Stati membri si impegnino a migliorare le loro «capacità militari», mettendole a disposizione sia dell’Unione per la realizzazione di missioni umanitarie, sia di Stati non europei per la lotta al terrorismo sul loro territorio. L’obiettivo ambizioso del Trattato è quello di giungere all’elaborazione graduale di una politica di sicurezza e di difesa comune. In un momento in cui il bacino del Mediterraneo è tornato a essere un’area geopolitica strategica per i rapporti internazionali, tale obiettivo appare quanto mai ineludibile ed urgente. Tuttavia, alcuni avvenimenti recenti, come la crisi libica e le rivolte scoppiate in Egitto, in Tunisia e in Siria hanno mostrato quanto sia difficoltoso il percorso verso la costruzione di una politica estera condivisa, a causa soprattutto delle divergenze tra gli Stati membri.
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Informazioni e contatti | La partecipazione è libera. A richiesta si rilasciano attestati di partecipazione. Il seminario gode dell'accredito ministeriale per la formazione del personale della scuola (D.M. 18 luglio 2005). Le lezioni si tengono presso la Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel. 059.421240, fax 059.421260, cc@fondazionesancarlo.it Le conferenze del seminario di cultura europea 'Guerra e pace' saranno trasmesse in diretta web sul sito: www.fondazionesancarlo.it |